giovedì 17 dicembre 2015

Un Doodle per ispirare

Avevo intenzione di scrivere un post prima di Natale che mi permettesse di fare qualcosa di più che gli auguri per le festività (che fossero sentite o semplicemente “vacanziere”, indifferentemente).
Incredibilmente, l'ispirazione per una delle mie riflessioni stavolta è giunta grazie a Google, o meglio, al Doodle di oggi.
Certamente sarà noto ai più, ma per sicurezza chiarirò che il “Doodle” altro non è che il logo di Google, modificato in base a ricorrenze particolari per celebrare eventi o nascite: spesso queste immagini sono interattive e, con un semplice click del proprio mouse, mostrano filmati, animazioni variegate, oppure permettono di prendere parte a brevi giochi virtuali, come il rompicapo proposto proprio in questa giornata per commemorare il 245° anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven.




Gli indovinelli sono semplici: un Beethoven caricaturizzato si avvia in tutta fretta verso il luogo in cui dirigerà il suo concerto, ma durante il viaggio il suo spartito viene stracciato o disperso per ben quattro volte. A noi il compito di rimettere assieme le pagine, indovinando l'esatta sequenza di note (per essere reso accessibile a tutti, i singoli segmenti musicali sono naturalmente ascoltabili).
Il gioco, è chiaro, è solo un pretesto divertente per celebrare il grande compositore, ma anche un'occasione per tutti di ripassare – o imparare – alcuni delle più celebri opere da lui prodotte.

A che punto del Doodle nasce, dunque, la mia riflessione? Si potrebbe pensare che tutta la simpatica trovata del gigante informatico sia lo spunto, magari il trampolino per un accorto pensiero sull'importanza della musica classica o su Beethoven stesso. Ovviamente, data la premessa, non è così: è il solo Inno alla Gioia, posto a conclusione del rompicapo, che mi ha fatto venire in mente l'importanza di celebrare, in questo periodo, la felicità.



Sono certo che i significati reconditi e la storia del brano nascondano informazioni fondamentali per comprenderlo appieno – anzi, è probabile che un salto in biblioteca (o persino su wikipedia, se non si ha tempo) sia a questo punto almeno d'obbligo – ma lascerò a voi l'indagine e mi concentrerò solamente sulle banalità che ogni tanto è bene ricordare.

Questa musica ha certamente una forza intrinseca davvero potente, una sua musicalità che grida forte e chiaro “Viva”. Non saprei dire bene “Viva” cosa, ma forse non ha importanza; anzi, probabilmente si tratta solamente (come se fosse poco) di “Viva” la felicità stessa.

In fondo, in un periodo come quello che ci si para di fronte, fatto di ricorrenze religiose e mondane, di pranzi luculliani o malinconiche cene consumate in fretta, di ritrovi tra amici o momenti di ancora più accentuata solitudine, credo che ciascuno di noi – qualunque sia la sua condizione – dovrebbe prendersi un attimo per pensare a fondo alla felicità, alla gioia che quest'opera (molto al di là del suo sottotesto) canta in modo tanto energico ed emozionante.
Non si tratta di buonismo, o facili moralismi: non voglio dire “Pensate un po' a chi non ha le vostre fortune” o “Attenti al vero significato di quello che festeggiate”. Lo sapete voi cosa significa, dal vostro punto di vista, il Natale, il Capodanno o semplicemente il periodo di festività: a me non interessa, né deve interessare.
A tutti, però, e forse soprattutto a chi ultimamente si è sentito giù di morale, farebbe bene riflettere un po' sulla gioia: come ci si arriva, certo, ma ancor di più alla sua incredibile essenza, potente quanto la musica, comprensibile e accessibile a tutti come l'emozione convogliata dalle note.
Io ascolto questa epocale testimonianza musicale e, senza pormi troppe domande, senza cullarmi in sogni o memorie, senza fingermi più intenditore di quanto non sia, mi sento un poco smosso – non pervaso, ma contagiato – da una qualche forma di personale e profonda gioia.

«Non ho molti motivi per sentirmi felice, ultimamente.» mi risponderà il più contrito fra di voi.

Beh, proprio per questo, a te specialmente consiglio di chiudere gli occhi e ascoltare.
Sono sicuro, come lo sento in me, che da noi stessi possa partire un primo, vero - magari momentaneo, ma certamente valido - moto di felicità.

Scusate la facile retorica. Come giusto che sia, a questo punto mi coformo anch'io ai dovuti convenevoli: buone feste, lettori miei.

1 commento:

  1. A volte la felicitá che si prova è solo momentanea, ma bisognerebbe farsi trasportare da quell'attimo di gioia, per ricordarsi chi siamo davvero e che, a volte, é meglio vivere nell'incertezza coltivando i propri sogni ma in piedi, invece di vivere un'intera vita in ginocchio. Per fortuna, se vogliamo, possiamo sempre rialzarci.

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