La costanza
è probabilmente la
qualità più
importante e nel contempo più bistrattata tra quelle
prese in esame quando si parla di scrittori.
Vedo e sento
spesso – sui social, sui forum in generale, ma anche solo
chiacchierando dal vivo – che il talento è considerato il
non plus ultra delle caratteristiche desiderabili. Dopotutto, se uno
è portato per qualcosa, certamente gli riuscirà facile eseguirla e
avrà ottimi risultati... no?
Beh, no. Non
è detto, almeno.
Non voglio
sembrare polemico, ma anche supponendo che il mondo sia colmo di
persone particolarmente dotate per la scrittura, non credo che il
numero di opere scritte e pronte per la pubblicazione ne eguagli il
numero. Francamente, dubito persino che lo scarto si attesti sopra la
metà.
Perché?
Beh, perché la costanza è un elemento chiave, una qualità
che non tutti sanno mettere in gioco. No, no, non è innata come il
talento: la costanza è alla portata di tutti, solo... più “severa”.
Ti affatica, ti fa sudare, ti costringe a fare e rifare le stesse
cose mille volte, prima di ottenere il giusto risultato.
In molti,
credo, sottovalutano la cruciale importanza della costanza, che
assomiglia all'impegno, ma possiede una sua sfumatura. Non è solo il
profondere dei propri sforzi in una data attività, ma il suo
perpetuarsi nel tempo. Dopotutto, certi risultati non si
ottengono in fretta, e la stesura di un libro men che meno.
Sì, ci
saranno sicuramente persone ispirate, capaci di realizzare la propria
opera in poche giornate; tuttavia, si tratta di casi isolati, più
unici che rari. La maggior parte degli scrittori dovrà tornare sulle
proprie pagine più e più volte, prima di accumularne il numero
necessario a raccontare la storia o il concetto desiderati. Poi
occorre rileggere e correggere... e questa operazione potrebbe
risultare persino più lunga della prima, a seconda del grado di
soddisfazione ricercato (perché di una sfumatura si tratta: nessuno
scrittore è mai del tutto contento di ciò che ha appena steso, in
una continua corsa verso il miglioramento – piuttosto che verso la
“perfezione”).
Ecco perché
quando vedo o sento di uno scrittore sconosciuto o magari un po'
bistrattato, forse persino canzonato per la sua opera (che, sempre
magari, potrebbe essere davvero pessima), mi infiammo un po'.
Non mi sento
il difensore degli ultimi, sia ben chiaro, ma un po' di stima, un
riconoscimento anche piccolo in apparenza, ma grande nella sua
essenza, bisogna concederglielo: ha completato il suo libro. Con un
po' di fortuna, lo ha persino pubblicato.
Tempo e
impegno, quindi fatica: in una parola, costanza.
A ben
pensarci, però, forse la parola che cerco è passione. Ecco,
sì: è questa la qualità meno evidente.
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