giovedì 17 dicembre 2015

Un Doodle per ispirare

Avevo intenzione di scrivere un post prima di Natale che mi permettesse di fare qualcosa di più che gli auguri per le festività (che fossero sentite o semplicemente “vacanziere”, indifferentemente).
Incredibilmente, l'ispirazione per una delle mie riflessioni stavolta è giunta grazie a Google, o meglio, al Doodle di oggi.
Certamente sarà noto ai più, ma per sicurezza chiarirò che il “Doodle” altro non è che il logo di Google, modificato in base a ricorrenze particolari per celebrare eventi o nascite: spesso queste immagini sono interattive e, con un semplice click del proprio mouse, mostrano filmati, animazioni variegate, oppure permettono di prendere parte a brevi giochi virtuali, come il rompicapo proposto proprio in questa giornata per commemorare il 245° anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven.




Gli indovinelli sono semplici: un Beethoven caricaturizzato si avvia in tutta fretta verso il luogo in cui dirigerà il suo concerto, ma durante il viaggio il suo spartito viene stracciato o disperso per ben quattro volte. A noi il compito di rimettere assieme le pagine, indovinando l'esatta sequenza di note (per essere reso accessibile a tutti, i singoli segmenti musicali sono naturalmente ascoltabili).
Il gioco, è chiaro, è solo un pretesto divertente per celebrare il grande compositore, ma anche un'occasione per tutti di ripassare – o imparare – alcuni delle più celebri opere da lui prodotte.

A che punto del Doodle nasce, dunque, la mia riflessione? Si potrebbe pensare che tutta la simpatica trovata del gigante informatico sia lo spunto, magari il trampolino per un accorto pensiero sull'importanza della musica classica o su Beethoven stesso. Ovviamente, data la premessa, non è così: è il solo Inno alla Gioia, posto a conclusione del rompicapo, che mi ha fatto venire in mente l'importanza di celebrare, in questo periodo, la felicità.



Sono certo che i significati reconditi e la storia del brano nascondano informazioni fondamentali per comprenderlo appieno – anzi, è probabile che un salto in biblioteca (o persino su wikipedia, se non si ha tempo) sia a questo punto almeno d'obbligo – ma lascerò a voi l'indagine e mi concentrerò solamente sulle banalità che ogni tanto è bene ricordare.

Questa musica ha certamente una forza intrinseca davvero potente, una sua musicalità che grida forte e chiaro “Viva”. Non saprei dire bene “Viva” cosa, ma forse non ha importanza; anzi, probabilmente si tratta solamente (come se fosse poco) di “Viva” la felicità stessa.

In fondo, in un periodo come quello che ci si para di fronte, fatto di ricorrenze religiose e mondane, di pranzi luculliani o malinconiche cene consumate in fretta, di ritrovi tra amici o momenti di ancora più accentuata solitudine, credo che ciascuno di noi – qualunque sia la sua condizione – dovrebbe prendersi un attimo per pensare a fondo alla felicità, alla gioia che quest'opera (molto al di là del suo sottotesto) canta in modo tanto energico ed emozionante.
Non si tratta di buonismo, o facili moralismi: non voglio dire “Pensate un po' a chi non ha le vostre fortune” o “Attenti al vero significato di quello che festeggiate”. Lo sapete voi cosa significa, dal vostro punto di vista, il Natale, il Capodanno o semplicemente il periodo di festività: a me non interessa, né deve interessare.
A tutti, però, e forse soprattutto a chi ultimamente si è sentito giù di morale, farebbe bene riflettere un po' sulla gioia: come ci si arriva, certo, ma ancor di più alla sua incredibile essenza, potente quanto la musica, comprensibile e accessibile a tutti come l'emozione convogliata dalle note.
Io ascolto questa epocale testimonianza musicale e, senza pormi troppe domande, senza cullarmi in sogni o memorie, senza fingermi più intenditore di quanto non sia, mi sento un poco smosso – non pervaso, ma contagiato – da una qualche forma di personale e profonda gioia.

«Non ho molti motivi per sentirmi felice, ultimamente.» mi risponderà il più contrito fra di voi.

Beh, proprio per questo, a te specialmente consiglio di chiudere gli occhi e ascoltare.
Sono sicuro, come lo sento in me, che da noi stessi possa partire un primo, vero - magari momentaneo, ma certamente valido - moto di felicità.

Scusate la facile retorica. Come giusto che sia, a questo punto mi coformo anch'io ai dovuti convenevoli: buone feste, lettori miei.

giovedì 3 dicembre 2015

GDR by forum - prima parte

Prima di tutto tranquillizzo i lettori meno volenterosi: il pezzo sembra lungo, ma una parte di esso è – per così dire - “opzionale”: il vero e proprio articolo risiede nella prima parte del brano che segue.


Molti di voi si chiederanno se non vi sia un oscuro significato dietro il titolo; altri avranno saputo fare (per esperienza, non per altro) la giusta operazione lessicale e avranno sciolto l'acronimo – Gioco Di Ruolo - senza però comprendere appieno quel "by forum" che lo segue. Altri ancora, infine, sanno già di cosa sto parlando. A questi ultimi chiedo di avere un po' di pazienza; ai restanti, invece, spiego brevemente di che si tratta.


Avete presente un normale "Gioco di Ruolo"? No, non mi riferisco a quello che si svolge tra le lenzuola (oddio, a suo modo...), ma a qualcosa di più semplice e conviviale: un gruppo di persone (amici, parenti, fan di Hugh Jackman, vedete un po' voi) si raduna e prende parte a un'attività che ha tutte le caratteristiche di un gioco di società, ma in cui il supporto materiale è ridotto al minimo indispensabile e la fantasia fornisce visione e concretezza all'ambientazione. Fra di essi, solitamente, un individuo più esperto, o più portato di altri per la regia e l'improvvisazione, svolge il ruolo di arbitro e narra le premesse di una storia. I protagonisti saranno interpretati dai rimanenti componenti del gruppo, in una messa in scena fatta di immedesimazione, recitazione e tiri di dadi per simulare l'esito delle proprie azioni. Sul bisogno di mantenere credibili le vicende dei personaggi – e sulla promessa di non lasciar trapelare la presenza dei giocatori dietro le loro riflessioni e il loro modus operandi – si basa il patto narrativo e l'intero impianto ludico.


Assoluta libertà, ricreazione, coinvolgimento, straniamento sano (anche se solo temporaneo) dalla vita di tutti i giorni e tempo di qualità: il "Gioco Di Ruolo" nasce come un sistema di intrattenimento tra amici che si prefigge proprio questi obiettivi. Naturalmente, poi, l'interpretazione dei ruoli è divenuto un fattore secondario e la scena è stata progressivamente conquistata dalle regole (spesso articolate e variegate) che governano il gioco. Queste permettono una caratterizzazione parziale, ma convincente del proprio alter ego e delle dinamiche che ne regolano le azioni.

La gestione sempre più completa delle caratteristiche del proprio personaggio ha permesso uno spostamento del genere anche sui Videogames, dove - per venire incontro alle esigenze di una modalità single player (e ricordo che un tempo "multiplayer" significava soltanto "usare un secondo joypad per cooperare o misurarsi con un amico) - la trama procede lungo binari prestabiliti e il personaggio si limita a prendere parte ai combattimenti che ne centellinano la narrazione.


Senza nulla togliere a questo genere di esperienza, sempre più diffusa e variegata (tanto che ormai si fa fatica a parlare di GDR ed occorre riferirsi a "generi contaminati"), di certo la sua versione più classica ha trovato linfa vitale negli incontri tra amici di intere generazioni e nella produzione di sistemi di gioco sempre più numerosi, ponderati, ricchi di dettagli. Le ambientazioni, create ad hoc o prese in prestito da libri famosi, fumetti o noti brand, hanno aggiunto la varietà necessaria a rendere sempre più vasto ed esplorabile questo particolare universo ludico (basti pensare alla fortuna dei vari D&D o Mondo di Tenebra).


Tuttavia, è su una branchia relativa a questo macro-genere che voglio concentrarmi più nello specifico: il GDR by forum, ovvero il Gioco di Ruolo attuato per mezzo dei noti luoghi virtuali di discussione.

Non è facile, di primo acchito, immaginare come tutto possa svolgersi tramite discorsi e descrizioni elaborati per mezzo di “testi scritti”, piuttosto che di persona: manca l'immediatezza del dialogo e la spontaneità delle reazioni dal vivo. Un'attenta riflessione, tuttavia, svelerà come non vi sia, in effetti, grande differenza. Certo, i tempi sono molto dilatati e l'insieme di regole necessarie a giocare dovrà tener conto delle dinamiche di un forum e delle sue ristrettezze: ecco dunque che questo dovrà essere provvisto di diverse sezioni appositamente ideate per mettere ordine nell'ambientazione e per permettere così una chiara gestione delle parti IN-game (ovvero riguardanti il gioco vero e proprio) e OFF-game (ovvero ciò che lo accompagna, sia nel caso di contenuti che ne permettano la fruizione, sia per il materiale completamente avulso dal sistema ludico).

In tutto ciò, svolgono certamente un ruolo principe i topic concernenti il regolamento vero e proprio (sia del gioco, che generali, per stabilire il corretto comportamento degli utenti) e quelli contenenti le singole schede dei personaggi dei giocatori.


Per poter procedere nell'avventura (ovvero nella “quest”) è necessario che qualcuno svolga, anche in questo caso, il ruolo di narratore e di arbitro (spesso i due incarichi coincidono nella figura di un “master”): tali persone ricoprono generalmente il ruolo di staffer, all'interno del forum, ponendosi in una posizione gerarchica (fittizia, certo) più alta rispetto a quella dell'utente medio, ma col compito di sorvegliare il corretto svolgimento del gioco da parte di tutti i partecipanti. Già, perché solitamente a partecipare a un GDR by forum non sono poche anime sparse, ma un buon numero di persone che intrecciano le storie di loro invenzione in continuità con una trama generale.

Ne risultano, dunque, una moltitudine di racconti, anzi: le si potrebbe definire tante piccole saghe amatoriali, racchiuse in un unico macro-mondo narrativo.


Senza insistere ulteriormente sugli aspetti tecnici, che pure dovevano occupare la gran parte di questo mio primo pezzo sul genere, finisco anticipando che il prossimo pezzo sarà sugli elementi più sfuggenti, emotivi e variegati di questo splendido mondo: l'esercizio di scrittura creativa, l'esperienza ludica e il coinvolgimento sociale (e personale) di ogni singolo giocatore.


Per concludere, così come ho introdotto l'argomento, allo stesso modo voglio dare un assaggio di ciò che è possibile fare (e leggere) sui GDR by forum, presentando un pezzo scritto appositamente per uno dei contest preparati sul luogo virtuale in cui gioco da ormai due anni (che, detto in tutta onestà, è solo la punta dell'iceberg della mia lunga carriera di “ruolatore”, by forum e non).


Il personaggio protagonista è quello da me creato e utilizzato su “One Piece GDR” (il link è in fondo al testo), le altre comparse sono citazioni di PG utilizzati da altri utenti, mentre la vicenda raccontata non è in continuità con la storia principale, ma inventata appositamente per l'occasione.




A suo modo, il racconto può essere letto senza il bisogno di sapere di cosa tratti il manga One Piece di Eiichiro Oda, a cui il GDR è ispirato.


Buona lettura!




venerdì 27 novembre 2015

I Boss nei Videogames (e una top 3)

Benché sia piuttosto preso da altri progetti (n.d.B.: leggete lo scorso post sul Blog), voglio mantenere il più possibile vivo questo spazio telematico.
Oggi curerò una delle pagine nate da poco e lo farò trattando di un tema videoludico che mi è piuttosto caro: i “Boss” nei videogame.

All'inizio avevo pensato di costruire questo testo come una sorta di lista dei preferiti, una classica top-ten... e in effetti, è così che concluderò il brano. Tuttavia, non volevo discorrere semplicemente dei nemici di pixel e poligoni che preferisco, quanto piuttosto accompagnarvi in una riflessione (personale, sì, ma spero condivisibile e fruttuosa per tutti).
Cos'è un videogame senza un Boss?
Con questa domanda tartassante in mente, mi sono arrovellato fino a capire che in realtà una risposta esiste eccome: basta prendere un qualunque FPS di impronta classica, brand sportivo o, più in generale, qualunque gioco basato interamente sul multiplayer.
Bene, benissimo, ma senza dover fare troppe precisazioni, è chiaro che è a tutt'altro genere di software a cui penso, quando rifletto su un elemento come i “Boss”. Giochi pensati ed imbastiti su una modalità single player, o comunque in cui la presenza di una storia – palese o nascosta che sia, come ci insegnano, a titolo di esempio, i vari Souls – va di pari passo con il superamento di sfide prestabilite, gradini necessari all'avanzamento in vista del gran finale. Il confronto con i nemici “più grossi” e “più cattivi”, appunto. I Boss.
Ripensando ai miei esordi videoludici, non posso che aggiungere accanto a questa etichetta il suo naturale completamento, citando il celebre sintagma: “Boss di fine livello”. Già, perché una volta – e la pratica, in effetti, non si è completamente persa – i videogiochi scandivano la durata dell'arco narrativo grazie a una struttura divisa per parti più o meno equivalenti, solitamente caratterizzate da ambientazioni e soluzioni di gameplay uniche e singolari. Queste sezioni erano create ad hoc allo scopo di produrre variazioni nell'esperienza del videogiocatore e stuzzicarne continuamente, così, la fantasia e l'interesse.
In questo contesto – e il pensiero vola facilmente a molti platform e adventure game – i Boss rappresentavano anche e soprattutto un punto di arrivo e un banco di prova per la propria abilità.
Come sempre succede ad ogni forma di intrattenimento che sfoci nell'arte, i videogames hanno poi progressivamente perfezionato sempre più questo loro aspetto, fino a conferirgli pesi e funzioni mano a mano più specifiche, più uniche e particolari. È così che le storie narrate hanno cominciato a farsi più complesse e articolate, gli antagonisti sempre meno stereotipati, sempre più affascinanti e i Boss, per diretta conseguenza, sempre più significativi; altri, per un apparente paradosso, addirittura sono divenuti opzionali, annullando di fatto la loro raison d'etre originale (ma non il loro spessore).
Certo, ancora oggi svolgono in parte quel compito primario, determinando con la loro presenza dei passaggi obbligatori e caratterizzandosi così come punti fermi della vicenda raccontata, ma la cornice che sottende gran parte di questi fenomenali avversari è spesso ricca e accattivante, tanto da far attendere la loro messa in scena con trepidazione.
I Giochi di Ruolo, puri o ibridi, rappresentano ovviamente l'esempio più eclatante a cui fare riferimento: qui, solitamente, i Boss variano moltissimo, arrivando ad alternare un giusto mix di avversari poco approfonditi (ma comunque accattivanti) a vere e proprie nemesi. Per queste ultime, il più delle volte, l'uscita dall'anonimato non è affidata a poche righe di codice o a un breve filmato, ma puntano invece su un ritratto lungo, profondo, ricco di particolari che si dipanano attraverso gran parte dell'arco narrativo (se non tutto). Il confronto, quindi, assurge a momento catartico e fondamentale dell'esperienza videoludica.

Data la premessa, è però necessario puntualizzare che non sono pochi i giochi d'avventura, punta e clicca o platform curati anche sotto l'aspetto della caratterizzazione dei Boss. Il dettaglio, qui, fa da padrone e l'aspetto visivo del nemico riflette in parte la sua psicologia, o quantomeno lascia intravedere una porzione della sua essenza. Il nemico, così, non è più soltanto l'enorme bestia da affrontare, ma può divenire di tutto – e di tutto, da lui, ci si può aspettare, compresa una disfatta o un commiato struggente.
Persino gli FPS, per quanto spesso contaminati da altri generi, si sono talvolta evoluti in tal senso e la caratterizzazione degli antagonisti è divenuto un vero e proprio elemento chiave, motivante al fine del completamento della storia e per una totale fruizione del prodotto (penso, ad esempio, agli ultimi Far Cry – che pure non sono il mio “genere”).

Ecco, è qui dunque che volevo arrivare: a questo punto della mia riflessione, presentare una lista di preferiti diventa qualcosa d'altro; un apprezzamento non già rivolto a dei singoli personaggi, ma a tutti i “nemici” dei videogames che, se mal tratteggiati o poco studiati, possono con la loro assenza far perdere un po' di luce ai titoli giocati. Gli stessi titoli nei quali, magari, sono chiamati a prendere le parti del lato più oscuro.
Cosa sarebbero, in fondo, i videogames senza Boss?

N.B.= l'elenco che segue – oltre ad esprimere unicamente una preferenza personale – può contenere spoiler sui titoli proposti. Ecco perché invito a procedere con cautela nella lettura ed eventualmente interromperla in concomitanza delle parti dedicate ai videogame ancora da giocare.

3

Sif il Grande Lupo Grigio – Dark Souls

A coloro che pensano che si tratti di una scelta ovvia, non posso che dar ragione. Sif è un Boss vecchio stile, ma assieme anche un nemico innovativo.
Per poterlo apprezzare appieno, ovviamente, è necessario approfondirne il retroterra – il che, come ben sa un qualunque giocatore della serie Souls, non è un passaggio immediato: tutt'altro; occorre grande sagacia e determinazione per scovare tutti i tasselli narrativi dell'immaginifica ambientazione ideata da Fromsoftware. Sif, credo, incarna proprio lo spirito della serie, proponendo diversi livelli di lettura, tutti ugualmente giusti e tutti utili a capirne fino in fondo la reale valenza.

A una prima e disinteressata occhiata, ciò che si può rilevare è solo la superficie della sua caratterizzazione, che pure vale già molto: un Boss obbligatorio, ma di contorno (come appaiono, in fondo, quasi tutti i Boss di Dark Souls a un primo impatto), che si presenta né più, né meno come un nemico vecchio stampo, grosso e cattivo. Di certo, ne traspare immediatamente la bellezza estetica: un lupo enorme, argentato, che tiene in bocca una spada titanica – quasi non bastassero le sue zanne.
Scendendo più nel profondo, se ne può intravedere (anche solo dopo la sua morte e col proseguire dell'avventura) l'essenza: non più nemico casuale, ma protettore di una tomba (fittizia, forse, ma comunque simbolica). Il luogo ove riposa il suo padrone e amico, Artorias.
La leggenda si dipana ulteriormente giocando il DLC e una nuova chicca si aggiunge al tutto, mostrando un'introduzione diversa rispetto a quella del capitolo principale (se lo si affronta da un certo momento in poi). Ecco, quindi, che al primo impatto, estetico e solo intuibile, se ne aggiunge un altro, più emotivo e legato a una vera conoscenza del nemico.
Sif è uno di quei Boss che, rigiocando Dark Souls, si ri-affronta con occhi completamente diversi e una partecipazione sempre maggiore.

2

Sephiroth – Final Fantasy VII


Eh, lo so. La maggior parte di voi mi accuseranno di essere nostalgico, mentre un'altra parte consistente (che chiamerò amichevolmente “haters”) diranno che sono un fan che non ragiona più.
Beh, scusate la franchezza, ma chi se ne frega!
Contro ogni ragionevole dubbio, Sephiroth incarna l'idea stessa di antagonista e, credo, il primato non dipende solo dalla sua età videoludica. È piuttosto un'autorevolezza che premia un character design ispirato e azzeccato, che ben si sposa con il profondo stile punk-fantascientifico del settimo capitolo. Ciliegina sulla torta, trasmette anche lo spirito dello stile esagerato – a tratti pacchiano, ma più spesso accattivante – degli anime e manga del Sol Levante. La sua katana affilata e lunghissima diviene così un'arma iconica quanto la cascata di capelli grigi e l'espressione serafica perennemente dipinta sul volto, mista di superbia, rabbia e tristezza in egual misura.
Super soldato di fatto, oltre che per concept, questo villain è il motore vivo e pulsante della narrazione e presenta una notevole profondità psicologica, mostrata per mezzo di flashback e svariate righe di dialogo.





Il tema che accompagna il duello finale è stupendo e sembra musicato sulla falsariga del personaggio, aggiungendo un tocco di poesia sonora al già ottimo quadro estetico e psicologico.
Il momento di climax, poi, che culmina nella contrapposizione del solo protagonista all'antagonista in una sorta di dimensione priva di profondità – un oblio dello spazio e del tempo – assume quasi la rilevanza di un riscatto mentale di Cloud, chiamato a liberarsi da quella prigione di fantasmi e ombre del passato in cui il terribile Sephiroth l'aveva un tempo calato.
C'è solo da sperare, ormai, che la trasposizione su PS4 sia in grado di replicare l'incredibile impatto visivo e narrativo che questo personaggio si porta dietro.

1

Psycho Mantis – Metal Gear Solid


Eccolo, il re del mio podio, l'assoluto vincitore di questa difficile classifica.
Benché il suo background sia meno approfondito di quello di altri Boss e, soprattutto, più centellinato durante l'arco narrativo, non potevo che affidargli il compito di rappresentare il massimo esponente della categoria. Perché?
Beh, semplicemente perché trovo che sia l'esempio perfetto di Boss di un videogame – o quantomeno, l'esempio più vicino alla mia idea di Boss.
La sua vicenda personale non è affatto delle più semplici, né se ne può ignorare l'intrinseca tragedia, ma si sposa perfettamente con la caratterizzazione estetica e psicologica del personaggio. Benché rilevante per comprenderne la natura, la sua storia è in buona parte slegata dalla trama, che lo vede entrare in scena più come oppositore – o aiutante dell'antagonista, che dir si voglia – che come vera e propria nemesi con cui fare i conti. Ad essere onesti, anche questa sua essenza da “elemento secondario”, quasi di contorno, finisce per aggiungere valore alla sua figura. Intendiamoci, non dico che non abbia il suo ruolo, ma siamo ben lontani dall'impatto narrativo di Liquid, di Ocelot (in virtù, anche, dell'exploit dopo i titoli) o di Sniper Wolf (qui, invece, per il legame instauratosi con Otacon).

Da un punto di vista estetico, la sua immagine è riuscitissima, poiché nella sua semplicità restituisce immediatamente le impressioni di mistico e inquietante che lo caratterizzano: è di una magrezza scheletrica, segno somatico che riflette la sua fragile condizione mentale, ma indossa abiti attillati e poco coprenti e una maschera antigas, una linea in netto contrasto con quanto ci si aspetterebbe parlando di un personaggio cerebrale. La maschera inquietante – e il suo respiro filtrato che strizza l'occhio a Darth Vader – assumono un significato diverso, dunque, nuovo e profondo: un mix che lascia intravedere l'ambito militare in cui è vissuto, il devastato retroterra biografico e la mentalità disturbata.
La psicologia non è da meno, anzi: si espone cruda e violenta, senza mezze misure, mettendo in luce tutte le difficoltà di una vita irta di ostacoli e consumata dalla guerra – quella esterna che lo ha costretto a divenire una sorta di “esperimento vivente” e quella interna, in un gioco terribile di contrasti tra emozioni, istinti repressi e un mondo fittizio creato ad arte al solo scopo di contenerli. Ne risulta una mentalità deviata, ma anche vittima di un contesto sfavorevole e di un dono troppo grande per essere gestito.
Arrivando al gameplay, infine, abbiamo un trionfo di idee innovative, stratagemmi ludici e, come ciliegina, una vera e profonda conoscenza del videogiocatore e delle sue aspettative.
Cambiare porta del joypad per poter evitare la lettura del pensiero, leggere la memory card per scavare nei ricordi o far vibrare il controller per dimostrare la telecinesi sono le soluzioni di meta-gioco più credibili e azzeccate che si potessero escogitare per rendere la dimensione extra-sensoriale di questo incredibile Boss.
Psycho Mantis è – e rimarrà, temo – il più bel nemico della (mia) storia dei videogames.

martedì 24 novembre 2015

Una poesia in più: La strada davanti a casa

C'era una strada sgombra e un uomo su quella via,
c'era il sole e un po' d'ombra, c'era la polvere e casa mia.
Avevo il cuore più grande di una taglia già da un po',
e c'erano tante, tante, tante cose che ancora non so.

Fermo sull'uscio aspettavo, spostando lo sguardo qua e là,
cercavo l'amore, cercavo, negli occhi di mamma e papà.
A chi parcheggiava un momento, rubavo un poco di compagnia,
e con la mia mano sul mento rendevo reale la sua fantasia.

All'arte basta un momento, per dare sfogo hai doni che dà:
ti attizza un buon sentimento, scambia l'impegno per felicità.
Chi se ne andava da casa mia, lo faceva veloce ma col sorriso:
prestavo l'orecchio e la fantasia, poche parole e un tratto deciso.

Poi col tempo ho preso il cammino: andai lontano, me ne andai anch'io
da quel fuoco e quel mio camino, dove avevo casa e il mondo mio.
C'è oggi una strada che è piena, tutti che corrono e tutti che sanno;
gente che dice e non chiede venia, gente che ride mentre mi inganno...

Ma viviamo sognando, c'è poco da fare, sol che alcuni pensan di essere desti
trasformano il niente in cose d'amare, pur di nascondersi e non esser onesti.
E le parole si son complicate, manca il linguaggio del bambino,
che in poche righe mal pensate raccontava i sogni dell'indovino.

C'era una casa e c'è ancora, e un uomo davanti alla soglia,
che aspetta, come faceva allora, qualcuno che passi e un po' di gioia.

lunedì 19 ottobre 2015

Estratto "Social", ovvero una riflessione in più

Dati gli apprezzamenti ricevuti sui "social", ripropongo questa mia riflessione sul Blog, nella speranza possa piacere a un pubblico più vasto:

Al di là dell'uso indiscriminato che si fa della punteggiatura e, in particolare, dei punti di sospensione (ahimé, quanti discorsi spezzati ingiustificatamente a metà...), ho visto molti supereroi del testo scritto - presunti tali o veri redentori, non fa differenza - gettarsi a spada tratta nel conflitto sempre agguerrito e vivace della correttezza della lingua italiana. Costoro, armati di ottima favella, si sono battuti strenuamente per ristabilire la non trascurabile importanza del punto e virgola; altri, ancora, hanno duellato in bilico tra l'intensità effettiva del punto esclamativo - addirittura! - e la sfumatura implicita del chissà e del punto interrogativo - come di certo vi sarà capitato di vedere, no?
Tuttavia, se indicare, con la dovuta accuratezza, le pause dettate dalla virgola o l'effetto visivo restituito da interlinee più o meno abbondanti è ormai quasi da considerare un virtuosismo stilistico o persino una questione di soggettività; e se iniziare una frase con una congiunzione in evidenza, prorompente nel suo principiare il periodo, è una tecnica non già banalizzata, ma fatta smontare dal piedistallo della licenza letteraria che un tempo era concessa solamente ai più autorevoli scrittori; e se, infine, disseminare di incisi, virgolette, "trattini" e riflessioni articolate i propri testi è divenuta una pratica frequente nell'era in cui un pensiero cambia nome in post, l'errore grammaticale è solo un refuso, quello sintattico una distrazione e quello ortografico un pasticcio della composizione guidata delle parole; io, che supereroe non sono, oggi rivendico l'importanza del punto. Già, il punto: non due, che pure servono, ma uno. Quello semplice, l'elemento che nella sua incisività, nell'ineluttabilità della sua pausa, pone ordine nello scritto e, così facendo, disciplina la lettura.
Anzi, con la stessa forza di un avverbio o di una congiunzione avversativa, ritratto e aggiungo: ad essere rivendicato, qua, è lo spazio e il tempo dello scritto, la sua forma, la sua struttura e la sua efficacia.
Una riga vuota ha il suo peso, una riflessione isolata un'implicita valenza, ogni punteggiatura il suo ritmo. Ogni parola, poi - e più di tutto - ha un valore proprio e inequivocabile.
Siate cortesi: non riempite i vostri discorsi di puntini e artifici stilistici senza un vero motivo. Non commettete i miei errori (come le ripetizioni di questo esempio, ad esempio, per quanto il significato veicolato sia diverso)!
Quando stanchiamo la lettura, il messaggio, per quanto forte o importante, non passa più.

venerdì 16 ottobre 2015

RadioBlog 8


La riflessione di oggi è banale ed efficace assieme: non mollare mai, non smettere di sognare!
Certi giorni può essere difficile alzarsi dal letto, specialmente sapendo che ci aspetteranno ore di fatica e stress, di lavoro o studio, di ricerche estenuanti e chiamate inconcludenti. Tuttavia, stringere i denti e lottare per quello che si vuole, un passo alla volta, un obiettivo alla volta, è la chiave per il raggiungimento della felicità. Cliché? Sicuro, ma questo non lo rende meno vero.

In nota, un piccolo chiarimento: le recensioni di film e telefilm fatte per bocca dei protagonisti sono, in effetti, molto più vicine a dei disclaimer, delle pubblicità del prodotto che a vere e proprie sinossi della trama ed enunciazioni di pregi e difetti. Tranquilli, me ne rendo conto. Spero, però, che raggiungano lo stesso il loro scopo: farvi divertire e, magari, convincervi a guardare qualcosa che io ho apprezzato! ;)

mercoledì 14 ottobre 2015

BlogScreen: Supernatural





Oh, ehi! Dico a te, che mi stai leggendo, fermati un secondo! Ci sei? Mi ascolti?
Dico, mi ascolti? Andiamo, brutto coglione!
Ooooh, finalmente! Eccoti qua!

Dunque, scusa per prima, ma dovevo attirare la tua attenzione. Dunque, è un cavolo di piacere conoscerti, sul serio, ma in realtà non ho molto tempo per scriverti. Già, perché sono rimasto incastrato in un bel casino e non è che abbia tutte queste ore per spiegarmi. Sturati le orecchie, dunque, e preparati, perché quello che ti dirò sarà difficile da digerire: sto per raccontarti come stanno le cose veramente e tu devi fare lo sforzo più grande che ti sarà mai chiesto in vita. Credermi.

Mi chiamo Dean Winchester e sono un Cacciatore. Cosa caccio? Beh, di sicuro non il genere di prede che potresti pensare – anche se ogni tanto mi è capitato di avere a che fare con una bestia o due, piuttosta pelosa e decisamente puzzolente.
Il mio campo di investigazione è il soprannaturale e, per quanto possa sembrare assurdo, non ti sto mentendo. Sul serio, ripeti con me: «Io non ti sto mentendo».
No, idiota, tu devi cambiare il soggetto! Sono io che non mento, non me ne frega nulla di quello che dici tu.
Ops.


Se vi capiterà mai di vedere la nostra serie tv (esatto, abbiamo una serie tv! Voi?), questa canzone vi diverrà presto molto familiare. Beh, più di quanto non lo sia già!


Va bene, va bene, scusa, sono stato scortese... è che non è proprio un bel momento questo, per me. Sono rimasto incastrato nel web, per giunta impresso nel font meno accattivante della storia, quindi fammi il favore e sii elastico. Cerchiamo un punto di contatto: ti piacciono gli AC/DC? Sì? No? Non sarai mica una checca isterica come il mio fratellino Sam, vero?
Cavernicolo a me? Come osi? È stato Sam a dirti di dirmelo, idiota?

...oooh, io parlo come mi pare e piace! Non sono andato a Oxford e nemmeno voglio rimediare! Ho visto e fatto cose che tu e i tuoi amici potete solo fantasticare, quindi zitto e impara!
Caccia a lupi mannari! Sì, lupi mannari! Ed esorcismi a demoni e fantasmi! Duelli all'ultimo sangue con mutaforma, bestie antropomorfe, divinità pagane, streghe e maghi di ogni genere e persino sciami di insetti assassini. Esatto, hai capito bene, insetti assassini: perché? Nella tua preziosa enciclopedia di fiducia questa specie non ti torna?
Ah, ti torna.
Vabbé, me ne frego se non ti sembro del tutto a posto, figlio di... no, no, ehi! Aspetta! Dove vai? Buono, buono, non cliccare sulla crocetta rossa, non ridurre a icona, non tornare indietro con le pagine. Lascia perdere Facebook, questo è più importante di Facebook.
Ti piacciono le macchine? Io adoro le macchine, in particolare la mia Impala del '67. A te? Parliamo di questo, di donne e motori?
E invece no, magari. Devi ascoltarmi, ho troppe cose da dirti e tu continui a fare la fighetta e a scaldarti. Sono un agente del FBI, sai? A volte, almeno. Sì, beh, non proprio, naturalmente, ma ho delle patacche da poliziotto niente male e so due o tre cose che neanche Mulder e Scully riuscirebbero ad archiviare tra i loro X-Files.
Ascoltami, quindi: è vero che vado a caccia di creature soprannaturali, ma non sono quel mascalzone psicopatico come avrai sentito dire in giro. La gente non capisce...
Sì, lo so che “così dicono i pazzi”, ma stavolta intendo sul serio. La gente non capisce: c'è molto di più, nel mondo, molte più creature, razze e maledizioni di quante se ne possano immaginare. Il male serpeggia per le città sotto le forme più svariate e spesso è difficile da individuare, da debellare prima che distrugga la vita a qualcuno.
Qua entro in gioco io. Va bene, io e il mio fratellino: con un aiutino sporadico da parte di qualche altro cacciatore, solitamente mettiamo le cose a posto prima che qualcuno si faccia davvero male. Beh, ecco, a volte un po' dopo, ma aiutiamo un sacco di gente a vivere una vita tranquilla e perfetta a scapito della nostra. Cosa intendo dire? Beh, prova tu a viaggiare di stato in stato per gli USA, cambiando identità ogni singola volta, fermandoti solo nei motel per dormire, mangiando qua e là per i fast food di ogni singola contea e lottando contro ciò che la gente comune considera solo fantasia!


Ok, te lo concedo, detto così può sembrare una figata – e in effetti è un'avventura pazzesca – ma ci sono anche ombre, dietro le luci del brivido e del nostro nomadismo. Nessuna stabilità, vivere con Sam, l'impossibilità di creare un legame, vivere con Sam, rischiare di venire uccisi una volta a settimana se ci dice bene... e ho già detto vivere con Sam?
Quindi, cosa voglio da te? Beh, semplice: non so se sia stata una maledizione o l'incanto di una stronza fattucchiera, ma la mia coscienza è finita rinchiusa qua dentro. Sì, esatto, in questo ridicolo spazio multimediale. Ho bisogno di aiuto, devi chiamare una persona per me.

Hai presente quel Sam di cui ti ho parlato?


(Ho copia incollato il messaggio per voi: se sapete come dargli una mano, scrivete pure qua sotto! -Blaze)

lunedì 12 ottobre 2015

RadioBlog 7


Ed eccoci allo spazio consueto per le riflessioni estemporanee! Oggi non ho nessuna voglia di esagerare con la materia cerebrale, anzi, non ho nemmeno voglia di usarla. Non più del minimo sindacale, almeno.
Sono più interessato a voi: come va la vostra vita? Che mi raccontano i miei cari lettori? Cosa fate e quali pensieri vi passano per la testa in questo lunedì autunnale neppure troppo uggioso (almeno qui dove abito io)?
Per voi e per tutti, l'instancabile Tubetto mi ha proposto da solo (nel senso che, coi caricamenti in sequenza dei video, alla fine sembra quasi camminare per conto suo) questo indimenticabile "pezzo": More than a Feeling, dei Boston. E buon inizio di settimana!

Sospensione temporanea BloGame e nuovi post in arrivo!

E rieccomi qua, sulle pagine telematiche di questo Blog! Mi sono preso un po' di tempo prima di tornare a scrivere perché:
  •  Il mio attuale impiego (pur temporaneo) è fuori mano.
  •  Volevo darvi più tempo per rispondere al BloGame, anche se la cosa non è servita ad aumentare la partecipazione...
  •  Sono attualmente preso da altri progetti.
Detto questo, occorre però fare alcune considerazioni e trarre le dovute conclusioni: “La maledizione di Evansel” è un po' bistrattata e la partecipazione al gioco narrativo è esigua (diciamo pure nulla). È chiaro che la colpa non è di nessuno di voi, ma mia, perché non sono riuscito a renderlo abbastanza interessante, oppure non l'ho pubblicizzato a dovere – probabilmente entrambe le cose.
Sia come sia, è giusto prenderne atto, per cui sospendo la pubblicazione dei capitoli fino a data da destinarsi: quando vedrò un po' di voti per la scelta da far fare alla protagonista, allora riprenderò la stesura. Chissà, magari finirò per ritirarla dal web e concluderla in modo canonico, come racconto o romanzo, anziché ostinarmi a proporla in versione BloGame!
Per ora, diamo spazio ad altre tipologie di post, che seguiranno a breve!

Blaze

sabato 19 settembre 2015

BloGame VIII

Ed eccoci qua, il nuovo capitolo del BloGame. Senza troppi preamboli, entriamo nel vivo dell'ambientazione! Ecco la sinossi di ciò che è successo fino ad adesso (per leggerla, occorre evidenziarla col mouse: come al solito, cerco di evitare spoiler a chi è rimasto indietro con la storia).

[Beas – la protagonista del nostro BloGame – si è risvegliata nella casa del guaritore Leos Dobber dopo una lunga fuga dagli inseguitori al servizio di Evansel, l'entità che lei e i suoi compagni hanno cercato di eliminare. Sopravvissuta alla maledizione del dio-mostro, le sue abilità si sono potenziate, amplificandole i sensi e le forze, ma anche le emozioni più feroci. Ne ha fatto le spese Zalk, “Fantasido” delle favole – o, più correttamente, "Telecineta" – inizialmente sospettato di essere un sicario sulle tracce di Beas. Salvato dal linciaggio della nostra eroina da Leos, ha poi dimostrato di essere un vecchio amico del guaritore e insieme a questo ha preteso spiegazioni sull'identità della ragazza e gli eventi che l'hanno trasformata nella spietata combattente della sera precedente.

Avete scelto di far raccontare a Beas la sua storia, omettendo però l'identità del mostro che l'ha maledetta e i dettagli più compromettenti!]

Buona lettura a tutti!



La Maledizione (parte 5)


Leos e Zalk ascoltarono in silenzio quello che Beas aveva da raccontare: parlò del suo gruppo, di Dalkas, della loro missione per distruggere un terribile mostro e di come questi li avesse maledetti. Non si sbottonò troppo sui particolari e omise di dire che si trattava di Evansel. Per quanto ne sapesse, i due potevano esserne degli adoratori.
Al contrario, non lesinò i dettagli circa la sua trasformazione e la nuova condizione in cui si trovava.
Quando ebbe finito, lo sguardo di Dobber e del Telecineta erano fissi su di lei, increduli.
Lo sapevo. Non si fidano...
Prima che la ragazza potesse innervosirsi, però, il guaritore si schiarì la gola e le sorrise.
«Va bene, capisco.»
«Capisci?» gli fece eco Zalk, meno accomodante.
Persino Beas si sorprese di quell'affermazione.
«Davvero mi credi?»
«Hai detto la verità, no?» gli chiese il vecchio di rimando e lei annuì.
Certo, aveva omesso alcuni punti essenziali, ma non poteva dire di aver mentito.
«E di che mostro si tratta, lo sai?»
Beas spalancò gli occhi, spiazzata da quella domanda. A ben pensarci, era solo logico che venisse posta.
«Io... ecco, non lo so. Dalkas ci guidava, ma teneva gran parte delle informazioni per sé.»
Quella bugia faceva leva su un lato del carattere del suo amato che, in effetti, era del tutto reale, ma il capogruppo aveva sempre condiviso le nozioni essenziali. Al massimo, visto il suo modus operandi, poteva aver sorvolato sui particolari superflui.
Zalk non parve bersi la menzogna, ma Leos annuì con un'espressione insondabile sul viso. Non era certa che le credesse, ma di sicuro aveva deciso di fare almeno finta.
«Molto bene, anche se non sono sicuro che questo giochi a nostro favore. Nella mia carriera ho curato malesseri e ferite inferte da molti tipi di mostri, ma non ho mai nemmeno sentito parlare di una cosa del genere. Dovrò fare ricerche. Nel frattempo, sarà meglio che tu impari a controllare queste tue nuove capacità e le emozioni che ti suscitano.»
Beas scosse il capo, ancora più confusa di prima.
«Ma non so come fare, io non ci capisco niente esattamente come voi.» poi, istintivamente, allungò la mano per afferrare quella del suo salvatore.
«Tu puoi aiutarmi?»
«Io no, per ora.» rispose secco lui «Studiando il tuo caso, però, forse troverò qualche notizia utile. Comunque, prima che tu te ne vada, ti procurerò degli infusi che ti aiuteranno a calmarti quando e se ti sentirai... strana, diciamo.»
Di quel discorso, la ragazza maledetta recepì soltanto il fatto che dovesse andarsene.
Ma certo, che ti aspettavi? Per quanto gentile, è pur sempre un vecchio guaritore. Lui cura le persone finché non sembrano abbastanza in forma da poter riprendere le loro strade.” la delusione le serpeggiò sul viso e, pur senza velarle gli occhi di lacrime, la imbronciò e demoralizzò.
«Capisco, allora farò in modo di tornare a trovarti.»
Leos scosse il capo, sempre sorridente.
«Non fraintendermi, non voglio che tu te ne vada. Tuttavia, hai bisogno d'aiuto e io so chi può dartelo.»
Quindi, si volse lentamente e fissò Zalk, che scosse il capo e sbuffò.
«Il Culto non sarà contento, se le porto una grana simile.»
«Oh, lo sarà, invece. E puoi sempre dire che la mando io.»
Beas spostò lo sguardo dall'uno all'altro, in cerca di qualche nozione che, evidentemente, solo lei non riusciva a cogliere. Il guaritore si affrettò a spiegarsi.
«Vedi, cara, Zalk qui è un Cacciatore di Mostri. Chi meglio della sua organizzazione può aiutarti col tuo problema?»
Beas sgranò ancora di più lo sguardo, in cerca di qualche parola, ma non le venne niente: troppe domande le frullavano in testa perché una sola avesse la meglio. Come già era successo, fu Leos a decretare il da farsi, alzandosi e uscendo.
«Perché non ne parlate un poco, mentre preparo qualcosa di caldo?»

I secondi trascorsero nel silenzio e nell'imbarazzo.
«Quindi, sì, insomma...» iniziò a dire lei, senza concludere la frase.
Si schiarì la gola, prima di proseguire. Non voleva essere di nuovo interrogata su quello che aveva appena raccontato e aveva bisogno di indagare più a fondo su gran parte delle informazioni che erano state solo accennate. Zalk non pareva aver fretta di approfondire, ma il suo atteggiamento non era più così scontroso come al suo risveglio. Le lacrime che Beas aveva versato – e la sua espressione tuttora confusa – dovevano averlo addolcito un po'.
Dubito comunque che si fidi di me...” fu costretta a ricordarsi.
«Dunque tu sei un... Fantasido?»
«Già.» ammise il ragazzo con naturalezza.
«E lo hai sempre saputo? Di poter spostare oggetti con la mente, intendo.»
«Certo, perché il Culto mi ha scelto.»
Beas inclinò il capo, disorientata: era la seconda volta che nominavano quella setta. Esisteva, dunque, davvero un ordine a cui fare riferimento, se si possedevano abilità fuori dalla norma?
«Culto?»
«Culto della Nuova Via, a voler essere formali.»
La rossa inclinò il capo, scrutando Zalk con gli occhi ridotti a due fessure. Possibile che fosse tutto vero, che non la stesse solamente prendendo in giro? Dopotutto, Leos non era più lì con loro.
«Com'è che non ne ho mai sentito parlare?» chiese caustica.
«Perché non lo spiattelliamo ai quattro venti. Alcuni sanno della sua esistenza, ovviamente. Beh, non è che nascondi un monastero come se niente fosse, però siamo piuttosto schivi solitamente. Alla gente non piace chi può fare cose in apparenza impossibili. Sono... impauriti, diciamo.»
Beas notò il tono di voce con cui aveva fatto quell'ultima affermazione: poco convinto, quasi sarcastico.
«Ma quindi, cioè, questo posto...»
«Il monastero è solo un luogo,» la corresse lui «il Culto non è qualcosa che trovi su una mappa.»
«Queste persone, allora, loro ti trovano e ti insegnano a spostare le cose col pensiero? A essere un Fantasido?»
Zalk scoppiò a ridere forte, innervosendola.
«Guarda che io sono solo un Telecineta!» proruppe «Certo, è anche colpa mia se sei convinta di questo, la notte scorsa mi sono spiegato male. Siccome siamo il tipo più diffuso di Fantasido, la gente ha sempre teso a considerarci come tali... e non sarebbe neppure sbagliato, solo che siamo soltanto una parte di un'insieme più vasto. Anzi, meglio ancora, più variegato.»
Bea strabuzzò gli occhi: lei, in effetti, era cresciuta nella parte centrale del Regno di Evansel, quindi era possibile che le favole che aveva ascoltato da bambina differissero da quelle della periferia da cui pareva provenire Zalk, considerato il suo accento.
Perché mi parla come se fossi un'idiota, però?
Quel suo atteggiamento le dava proprio sui nervi. Non riusciva a comprendere che la sua confusione era più che normale? A voler trovare una stranezza – una più canonica, visti gli avvenimenti vissuti negli ultimi giorni – era proprio la sua mancanza di cultura popolare a sembrare strana. Il Telecineta non si rendeva conto che per le persone comuni la sua genia viveva solo nei miti, nelle storielle e nelle leggende?
«Bene,» rispose secca e a labbra strette «dal momento che non ci sto capendo granché, ti andrebbe di fare finta, anche solo per un attimo, che io non sappia niente di tutta 'sta roba!?»
Zalk alzò le mani in alto come per arrendersi e, scuotendo il capo, iniziò a spiegare.
«Fantasido è il nome con cui definiamo coloro che hanno particolari poteri. Non sono mai stato molto attento alle lezioni, ma pare che il nome sia legato alla capacità di rendere reale qualcosa che normalmente si può solo immaginare. Naturalmente, ognuno di noi può concretizzare solo un tipo di fantasia. Io ad esempio posso muovere gli oggetti con la telecinesi e vengo dunque definito Telecineta.»
«Ma solo se sono già in movimento.» annuì Bea, che finalmente iniziava a collocare i pezzi del mosaico al loro posto.
«Esatto, come ti sei prontamente accorta durante il nostro piccolo alterco.» concluse il ragazzo moro.
«Lo avresti saputo anche tu, se avessi letto qualche favola da bambino.»
«Le favole che parlano di noi, da me, sono poche. Abbiamo anche pochi libri più ufficiosi, a dire il vero. Come ti ho detto, cerchiamo di passare inosservati e lasciare una traccia scritta alzerebbe più attenzioni di quelle che vorremmo. Il regno non ha mai osteggiato questa nostra decisione, da che ne so. Immagino faccia comodo cancellare la nostra esistenza, magari rende più comodo gestire le persone normali e evita altri problemi come linciaggi pubblici e... cose così.»
Bea annuì, anche se non le era chiaro il perché di quella politica: in fondo, ammesso che le alte sfere ed Evansel stesso temessero esseri simili, organizzare una campagna di epurazione le sembrava più nelle loro corde; più scontata e naturale, volendo, per quanto meschina e disgustosa.
Almeno spiega perché compaiano solo nelle favole: sarebbe impossibile cancellarli dalla storia dei popoli, è molto più facile ingannarne la memoria relegandoli in racconti per bambini...
«Ma il Culto fa quello che fa in accordo col regno di Evansel?» chiese bruscamente, incuriosita dalle dinamiche di quella società sconosciuta.
Zalk fece spallucce.
«Non che io sappia. A dire il vero, ho sempre pensato fossero due specie di superpotenze ben distinte e in continuo stallo fra loro. Due cani che si ringhiano l'un l'altro.»
«Oh.» rimase sorpresa Beas «Credevo che nulla potesse opporsi al regno di Evansel. E che voi foste pochi.» aggiunse in seconda battuta.
«Vero e vero,» confermò il telecineta «ma il mio ordine è ben ramificato e più esteso di quanto appaia a una prima occhiata. Non è qualcosa che si possa debellare facilmente, sempre che sia possibile. Vivere senza dare nell'occhio e senza lasciare tracce assomiglia, dopotutto, a vivere nella segretezza... e in fondo agiamo più o meno clandestinamente, quindi è difficile prevedere le nostre reazioni. Inoltre, siamo utili, dal momento che cacciamo bestie pericolose e risolviamo problemi analoghi. In caso di conflitto, non ci sarebbe una guerra, ma una caccia al diverso che sfocerebbe in guerriglia. L'impero odia i disordini e noi odiamo metterci in mostra. Preferiamo un basso profilo.»
«Se è davvero così, perché mi stai raccontando tutto? Cos'è, mi vuoi reclutare?»
Mentre diceva quelle parole, realizzò come quella fosse, in effetti, una possibilità più che concreta. Lei non era normale, in fondo. Non più.
«Ahah!» rise di rimando Zalk per l'ennesima volta «No, no, figuriamoci! Ma sei in difficoltà ed è chiaro che non sei più... beh, quello che eri prima. Leos vuole aiutarti e sono convinto che il Culto possa metterci in contatto con qualcuno che ci può dire qualcosa. Sarai una sorta di ospite, diciamo.»
«Volete studiarmi?» chiese stizzita Beas.
Il ragazzo la fissò con un sorriso sornione, nei suoi occhi uno strano lampo di sfida. Aveva uno sguardo lucido e malizioso che, a tratti, le ricordava quello di Dalkas.
«E tu, vuoi studiarti?»

A voi la scelta!
A) Seguirlo
B) Beas indagherà per i fatti suoi sul Culto.
C) Beas indagherà per i fatti suoi sulla sua natura, cercando di tenersi lontano dal Culto.
D) Fare altre domande sul Culto e su quello che pensa Zalk, prima di prendere una decisione. La curiosità e i quesiti - anche quelli fastidiosi - prima di ogni cosa... dovesse costarle la proposta di aiuto!

Rassicurazioni

Con tutti i nuovi progetti che sono partiti e - per chi mi conosce, non è una novità - la correzione in corso di un mio romanzo, si potrebbe pensare che le vecchie idee siano state momentaneamente accantonate. Ad esempio, il BloGame. Non è così! Infatti, in giornata, vedrete pubblicato il nuovo capitolo, perciò... restate sintonizzati! ;)

venerdì 18 settembre 2015

Esperimento "colore"

Come promesso, pubblico anche la versione colorata della vignetta che fa da preview della serie.
Siccome l'originale era stato progettato in bianco e nero (con campiture e ombreggiature a mano), l'esito non è dei più felici, ma dà un'idea di come sarebbe! Che dite, dovrei colorarle?


giovedì 17 settembre 2015

Vignette preview!

Come già vi avevo annunciato, presto proporrò su queste pagine telematiche qualche vignetta a sfondo umoristico, giusto per rallegrare un po' le vostre giornate.
La storia che racconterò sarà priva di pretese, strampalata e un pochino non-sense. Ad ogni modo, la serializzerò in più puntate ed ogni episodio (spero) sarà godibile di per sè! Detta così, sembra quasi un cartone animato, ahah!
Chissà, se riscuotono un minimo di successo potrei persino crearci su una paginetta apposta sui social... mah! Per ora rimangono confinate qua! :D

E per aumentare l'hype, vi presento intanto la coppia di protagonisti che danno il nome a questo esperimento fumettistico: ALEX & CTHULHU JR.
Chi sono e come si sono incontrati è materia dei primi episodi, quindi restate sintonizzati!

Blaze

PS= domani pubblicherò anche il disegno colorato, giusto per vedere come viene!







martedì 15 settembre 2015

Star Wars e i libri su licenza


Dopo mesi di ricerca spesi invano - che si sarebbero potuti accorciare sensibilmente, se solo fossi ricorso a ditte come Amazon (ma poi dove finisce il piacere della scoperta?) - avevo quasi rinunciato all'idea di mettere le mani sui due libri in foto, ovvero "Il Cammino Jedi" e "Il Codice Sith". Poi, come per magia, una nuova edizione datata 2015 ha permesso alle librerie di rifornirsi di entrambi i titoli (in quantità industriali, aggiungerei, date le pile all'ingresso della mia preferita).
<<Incredibile! Miracolo!>> potrei dire, se non fossi ben conscio del reale motivo della loro ricomparsa: l'imminente arrivo del nuovo capitolo della saga di Star Wars nelle sale dei cinema. Una semplice opera di merchandising, certo, ma francamente sono contento dei suoi effetti collaterali se significa poter usufruire anche di più o meno vecchi prodotti altrimenti difficili da reperire.
Ora, i due testi in esame sono particolarmente ben confezionati, come chi ha avuto il piacere di sfogliarli saprà bene, ma non raccontano vere e proprie storie. Diciamo, piuttosto, che offrono una sorta di compendio sfizioso che fornisce informazioni nuove sull'elemento più caratteristico della saga fantascientifica in oggetto: la Via della Forza e gli ordini che la praticano, nella declinazione Jedi e in quella della loro controparte Sith.
Non ho intenzione di fare qui una recensione dei due testi, che credo mi verrebbe piuttosto stringata, ma certo voglio cogliere la palla al balzo per poter riflettere con voi circa un fenomeno assai sviluppato, ovvero la scrittura di romanzi su licenza.
Che cosa intendo? Semplice: libri in cui l'autore, quasi sempre su commissione, descrive vicende appartenenti ad ambientazioni proprie di uno specifico brand, un marchio riconoscibile e già famoso. Spesso le storie raccontate non si limitano a riproporre per iscritto la trama di un film o di un videogame, ma ne ampliano i confini aggiungendo nuovi episodi, narrando vicende fino a quel momento ignorate e addirittura, in certi casi, proponendo veri e propri prequel e sequel che entrano di diritto nella continuity (la linea temporale che fa da background e filo conduttore dei prodotti madre).
Il fenomeno non è poi così assurdo, se si pensa come anche la musica partecipi a tutti gli effetti alla creazione di elementi iconici di un dato titolo, come fanno di fatto le colonne sonore.

 Chi non si mette sull'attenti al suono della "Marcia Imperiale" mi avrà deluso per l'ultima volta!

«Ovvio,» direte voi «se è per questo ci fanno anche giocattoli e spillette, se un film è di successo!»
Verissimo, ma il discorso che voglio fare è un po' diverso. Non parlo del bisogno di sfruttare appieno un brand, ma del particolare fenomeno che vede l'ampliamento delle sue ambientazioni tramite l'uso di canali diversi e di analizzarne la bontà.
So che non si tratta di uno scambio a senso unico e che oggigiorno è ben possibile vedere fumetti tramutati in film, videogames in fumetti e via di seguito: un insieme di offerte davvero ampissimo, ma i libri come quelli di Star Wars, tratti da una saga cinematrografica storica e campione d'incassi, in quale prospettiva si collocano rispetto al mondo da cui sono generati? Sono tasselli superflui o nuovi pilastri da cui partire? Produzioni che arricchiscono o trascurabili lavoretti privi di spunti utili e/o originali?
La domanda è sincera, stavolta (e i vostri pareri sono ben voluti nei commenti). Naturalmente, immagino che ogni caso vada preso e analizzato a sé, ma in passato non ho mancato di sentire critiche accese verso i romanzi su licenza, in particolare verso quelli di questa saga.
Si tratta, però, di una produzione troppo vasta per liquidarla con tanta facilità... senza contare che ho anche amici e conoscenti che hanno invece espresso pareri positivi verso queste pubblicazioni. Io, dalla mia, rimango incuriosito da questo fenomeno - e non mancherò di ampliare presto la mia conoscenza in merito - ma, basandomi su quel poco che ho potuto vedere per altri brand, sono sempre più convinto che si tratti di un'ottima cosa: in fin dei conti, poter esplorare ancora universi altrimenti confinati in pochi giri di pellicola è una pratica che serba dentro sé potenzialità enormi e che quindi, pur rischiando di fallire, ritengo vada comunque incoraggiata.
Si potrebbe dire molto altro, ma mi fermo qua e lancio la palla a voi lettori. Fatemi sapere la vostra!

Blaze

domenica 13 settembre 2015

Una serata diversa dalle altre

Stasera sono uscito a godermi l'iniziativa svoltasi a Imola, una delle "mie" tre città Emiliano-Romagnole (in pratica, da parecchi anni oscillo tra pendolarismo e brevi permanenze tra questa, Forlì e Bologna). Il tema di questa giornata era "zombie e cosplay", tra maschere, bodypainting e make-up: veri e propri capolavori del trucco che hanno saputo trasformare comuni cittadini in zombie famelici e agguerriti sopravvissuti.
Una sera in cui ho potuto assaporare un po' di sano intrattenimento sociale, fra chiacchiere, sorrisi e foto... e allora ho riflettuto.
"Strano," penseranno i più sarcastici fra voi "non succede mai". Beh, a questi tipi vorrei dire che... ecco... sono dei... dei...
...ah, lasciamo stare. È tardi, ho sonno e sono stanco. Volevo scrivere dell'evento finché ancora ce l'avevo ben impresso in mente. Già, perché le immagini di tante persone mascherate ad hoc per riproporre le atmosfere di un tema ben preciso come quello dei redivivi resi famosi da Romero e trasformati in cult da altri blockbuster di ottima qualità (ad esempio The Walking Dead, fumetto e serie tv), per quanto figli del più macabro tra i riflessi horror, si sono marchiate a fuoco nelle mie retine, oltre che nell'obiettivo di molti cellulari e macchine fotografiche. Una vita - paradossalmente - e un'armonia che difficilmente si riesce a vedere oggigiorno. Anche a questo possono servire dunque i grandi temi fantasy, fantascientifici e urban-fantasy che colorano i nostri romanzi e videogames preferiti . A dimostrazione che non c'è nulla di più vivo e utile al reale che un pizzico di fantastico.
...degli zombie! Ecco cosa sono! mi è venuto in mente!
(notte)
Blaze
ps- ringrazio il tizio in foto, che si è prestato allo scatto. Non so chi sia, me ne scuso.

Errata Corrige: finalmente so chi è il ragazzo in foto! Un grazie speciale a Maxx Melato, bravissimo make-up artist, oltre che zombie! ;)

venerdì 11 settembre 2015

Minecraft e... Doctor Who?


Voglio rimanere in tema con le mie due ultime recensioni, oggi.
Non lo faccio spesso (potrei aumentare la frequenza, però), ma voglio suggerire a tutti gli appassionati di videogames o del Dottore - o ancora meglio, le due cose assieme - di guardarsi questo buffo video che unisce Minecraft alla celebre serie britannica. Non conosco abbastanza bene il primo per cogliere tutti i riferimenti, ma mi è bastata l'esperienza col secondo per godermi la storiella priva di pretese. Probabilmente, anche un neofita di entrambi i titoli potrebbe trovarlo un esperimento riuscito!

Blaze

giovedì 10 settembre 2015

BlogScreen: Doctor Who


Benché sia sempre più conosciuta anche in Italia, la serie britannica "Doctor Who" vanta un minor seguito nel Bel Paese rispetto a quello concesso ad altri telefilm in lingua inglese. Eppure, come prima serie televisiva di questo spazio telematico, ho scelto di parlarvi di lei anziché di un'altra per due motivi: è la più longeva tra quelle di genere fantascientifico e... sono il Dottore.
Cos'è il Dottore? No, no, domanda sbagliata! Sbagliatissima!
Ad ogni modo, questa storia parla di un alieno, un cosiddetto "Signore del Tempo" dal pianeta Gallifrey.
Signore-del-tempo... perché una razza aliena dovrebbe avere un nome simile? Semplice! Perché adora mangiare bastoncini di pesce con la crema pasticc-no no! Scusate, quello sono io. No, il motivo è semplice davvero in realtà: perché viaggia nel tempo (e nello spazio, ma evidentemente la cosa è passata in secondo piano al momento di decidere il nick) grazie a una cabina telefonica di colore blu. Esatto, una di quelle vecchie cabine inglesi che forse avrete visto in qualche film, una volta. Ah, ma naturalmente non preoccupatevi, non si tratta certo di una vera cabina! Anzi, tutt'altro, è un'astronave, il TARDIS! Ed è anche più grande all'interno (guai a chi dice che sembra "più piccolo all'esterno")!
Ecco, scusate, ho divagato. Divago sempre. Fa bene divagare, anche se voi lo scoprirete soltanto fra molto, molto tempo. Tipo... mmh... molto, molto tempo!
Ah-ehm! Torniamo a noi.
Abbiamo un alieno dalle sembianze umane, ma con due cuori. Una nave spaziale in grado di viaggiare attraverso lo spazio e il tempo. Cos'altro manca? Beh, un "cacciavite sonico", l'aggeggio che il protagonista porta sempre con sé e che fa, tipo, tutto. Analizza, smuove, attiva, disattiva (la gente si scorda sempre della funzione "disattiva") e molto, molto altro. Però non è un'arma! Assolutamente: si tratta di uno strumento scientifico, per giunta con alcune limitazioni (ad esempio, quando si scende sul piano biologico il meglio che riesca a fare è scansionare).
Date queste premesse, si può salvare l'universo. Già, perché è esattamente questo quello che succede nelle puntate di "Doctor Who": il Dottore, aiutato da diversi compagni a seconda della stagione (già 8, al momento dello scritto. Le stagioni, non i compagni) si scontra e confronta con problemi planetari, interplanetari, galattici, intergalattici, universali e addirittura interuniversali. Il tutto, naturalmente, a spasso nel tempo e farcito con molte altre razze aliene.
Certo, me ne rendo conto, alcuni "effetti speciali" utilizzati per raccontarvi le mie avventure possono sembrare sottotono rispetto ad altre produzioni vostrane (avete già inventato il termine vostrano?), così come diversi nemici - fra tutti la nemesi del protagonista per eccellenza, i Dalek - possono apparire superati nel design e nella caratterizzazione psicologica, ma... beh! Come vi ho detto è la serie fantascientifica più longeva di sempre! Per quanto si possa svecchiare, alcuni fondamentali devono rimanere invariati. Inoltre, i Dalek sono davvero fatti così, quindi niente storie.
Ad ogni modo, non preoccupatevi, non vi annoierete di certo: le singole puntate sono elettrizzanti, spesso al fulmicotone e sparsi qua e là, costellati lungo tutta la serie, vengono elargiti indizi su quelli che possiamo considerare alcuni dei finali di stagione più sconvolgenti di sempre. Nessuna monotonia! Tutto cambia, in continuazione... persino io. Già, non l'avevo detto, ma ho il potere di "rigenerarmi" (di fatti, ho più di 1200 anni, ormai), per questo l'attore che mi interpreta di quando in quando cambia. E la colonna sonora non è affatto male: al di là del tema principale, che è iconico quanto la cabina telefonica, i brani musicali sono frizzanti o malinconici a seconda della necessità.

Dududu-dududu-dududu duh duh duh... Wiiiuuuuuuh!

Quindi, certo, è una serie che va vista contestualizzandola - perché non ha rinunciato alla "continuità" con l'universo (tele)filmico prodotto fino a quel momento e, quindi, soffre di alcuni acciacchi dovuti all'invecchiamento. Tuttavia, si offre leggera e vivace, spaziando da momenti ilari a momenti drammatici con la stessa efficacia e semplicità con cui ti chiede di accettarne il preambolo.
Quindi, direte voi, c'è un Dottore che salva il mondo e che si fa aiutare spesso da alcuni compagni, ok. Ma Dottore chi? Oooh! Bene. Ecco, ci siamo. Avete fatto la domanda giusta.
Certo, di sicuro io non vi risponderò, ma senza che qualcuno ve lo spieghi in maniera diretta, basterà guardare il telefilm per comprendere con chi avete a che fare: un super eroe buono, strano, che non ricorre (quasi) mai alla violenza e geniale più di... tutti, direi.
Quindi, a chiunque - e intendo proprio chiunque, al di là delle proprie preferenze personali e del proprio sistema galattico di appartenenza - consiglio vivamente di provare a guardare un episodio, anche solo uno a caso, di questa fantastica serie. Sono sicuro che vi piacerà o, quantomeno, vi strapperà un sorriso.
Come faccio a saperlo? Semplice.
Sono il Dottore.


Il Dottore (e Blaze, che si è assicurato il tutto avesse un senso)

martedì 8 settembre 2015

RadioBlog 6



In questo periodo in cui sto cercando di curare maggiormente il Blog e la parte social della mia produzione scritta, mi è tornato in mente quando pubblicavo con una certa frequenza brani musicali accompagnati da apprezzamenti o brevi riflessioni.
Perché ho smesso? Beh, i motivi sono gli stessi che mi hanno spinto per un po' a trascurare questa mia creatura, ma ora sono più attivo e, quindi, pronto a riprendere in mano anche la buona, vecchia RadioBlog.
Ho scelto questo pezzo perché, malgrado non sia molto famoso (fa parte della colonna sonora del film fantascientifico "Sunshine"), mi trasmette una grande energia, senza però perdere un tocco di serenità. Il paradosso, quando riesce, smette di essere tale e trasforma il brano in qualcosa di più: i due elementi si rinforzano a vicenda, esaltandosi.
Pur non intendendomene di musica, trovo che questo "adagio" sia denso di emozioni e colmo di aspettative. Adattissimo, quindi, a momenti di rivalsa quanto a scene clue piene di pathos.
Cari lettori, vi uso spesso come interlocutori, quindi vi chiamerò in causa anche stavolta: «Beh, certo!» direte «In un film casca a pennello, ma cosa c'entra con la scrittura?»
Vero, di questo mi occupo (per quanto il Blog stia sempre più spaziando in altri campi), ma fidatevi: non sono affatto fuori strada. Persino un pezzo di poesia o di narrativa ha il suo frammento più intenso, la sua parte più potente e una colonna sonora intrinseca, fatta di impennate di entusiasmo o di tragicità. Un brano musicale - uno come questo, ad esempio - può aiutarti a trasformare poche righe di testo in una sinfonia di emozioni. Le azioni, i pensieri e i dialoghi alimentati dalla musica con un po' di fortuna possono divenire particolarmente ispirati e i testi ispirati, a loro volta, possono catturare un poco della magia della musica stessa. Forse è proprio questo a rendere certi passaggi più memorabili di altri.
Vi lascio con un suggerimento che, in realtà, è un'abitudine di molti: provate a leggere mettendo in sottofondo della musica - una serie di brani, magari, che sappia adattarsi al ritmo della narrazione (concitato, rilassato, sospeso? Valutate voi!) - e sentirete il cambiamento! Le scene raccontate e le emozioni veicolate dal romanzo diverranno, all'improvviso, più forti che mai, regalandovi un livello superiore di immersione nella storia e nelle vite dei vostri personaggi preferiti.

Blaze

lunedì 7 settembre 2015

Una recensione in più (videogames): Sunless Sea



"Il capitano salì sulla barca. Gli uomini dell'equipaggio erano colmi di aspettative e paura, due sensazioni che gli erano molto familiari. Anzi, poteva quasi affermare che si trattava di una combinazione imprescindibile e necessaria per chi volesse esplorare quel mare oscuro. L'aspettativa ti teneva vivo, la paura vigile. L'incredibile distesa d'acqua e terrore che che si estendeva là, nel mondo Sotto, non risparmiava nessuno.
Fissò i suoi uomini, prima di parlare: alcuni di loro non sarebbero mai tornati a far porto a Londra Caduta. Non era né un presentimento, né una certezza, ma sapeva abbastanza di quello che li attendeva là fuori per ritenerlo probabile.
Annunciò la rotta che avrebbero seguito e disse il nome del luogo maledetto che avrebbero dovuto raggiungere per conto dell'Ammiragliato. Si sentiva in cuor suo un poeta dei vecchi tempi, per cui cercò di rintuzzare i loro animi con le storie di ricchezza e scoperta, ma a poco servì. Era la necessità a spingerli lontani dalla terra ferma, lo sapeva bene: chi per soldi, chi per i propri fantasmi del passato, ognuno aveva le sue motivazioni. Segreti, un'altra valuta di quel mondo sotterraneo.
Sospirò, vedendoli tornare a lavoro: quantomeno, avrebbero continuato a fare il loro dovere, finché avessero sentito il motore vibrare e avessero avuto cibo per mangiare. Provviste e carburante erano adeguati alla missione e sufficienti a sopperire a qualche imprevisto, ma lo stesso non poteva dirsi per le eco - la loro maledetta moneta. Con un po' di fortuna avrebbe concluso qualche affare e si sarebbe intascato il bottino necessario a lasciare la sua stanza sul molo. Forse.
Lì, nel mondo Sotto, ogni avventura era un sogno pronto a divenire incubo."

Ho deciso di inaugurare questa nuova sezione del Blog con la recensione del videogame che più mi sono divertito a giocare (il poco che sono riuscito) negli ultimi tempi: Sunless Sea.
Il titolo in questione, disponibile per PC già da un po' di tempo su Steam, propone un genere a se stante, atipico, perché unisce molte meccaniche diverse in una combinazione che a tratti vacilla, ma sicuramente stupisce e cattura.
Volendo offrire una definizione, lo si potrebbe classificare come un gioco di esplorazione e sopravvivenza: si impersona il capitano di una nave e si muove quest'ultima in un vasto mare, cercando nuovi porti, effettuando scambi commerciali e acquistando e vendendo beni, con un occhio sempre attento alle proprie provviste e al carburante necessari ad alimentare rispettivamente il proprio equipaggio e il proprio motore.
Tuttavia, sarebbe una descrizione molto limitante. Già, perché - poste queste semplici premesse - vanno poi illustrate alcune altre meccaniche peculiari che non si limitano a fare da contorno, ma, anzi!, connotano ulteriormente il gioco con il loro tocco. Sto parlando del sistema di collezione di oggetti e del loro uso per il dipanamento della trama e delle altre numerosissime storie, presentate per mezzo di interfacce a scelta multipla che ricordano molto da vicino i buoni, vecchi librigame.


 Esplorare il "Mare senza sole" non è cosa da poco, né per capitani qualunque.

L'esplorazione di questo mondo onirico avviene facendo navigare il proprio battello: la visuale è posta dall'alto, in una prospettiva che ricorda i primissimi GTA, ma che risulta azzeccata per illustrare una mappa costellata di isole, vortici, abissi e luoghi che sfuggono a una semplice denominazione. Tutto, in aggiunta, presentato in una stupenda grafica 2D: disegni di una bellezza unica, capaci di evocare i medesimi paesaggi trasognati descritti nelle numerosissime righe di testo di chiara ispirazione Lovecraftiana.
Ogni porto aprirà una finestra con le zone accessibili.
In ogni porto, poi, si aprirà una finestra contenente le zone accessibili e le opzioni che vi si possono intraprendere; il tutto, naturalmente, condito da descrizioni evocative, storie intriganti, vicende piene di mordente e ambienti decisamente ispirati.
Ogni volta che scopriremo qualcosa otterremo dei "frammenti" che, raggiunta una certa quantità, diverranno poi "segreti". Questi serviranno, assieme a una serie di altre risorse - tutte rappresentate da oggetti in nostro possesso e ottenute come ricompensa per l'avanzamento di certi racconti - a sbloccare nuove storie o ottenere particolari bonus o incrementi alle caratteristiche.
Le statistiche del personaggio (Iron, Mirrors, Veils, Hearts e Pages)  rispecchiano personali abilità al comando della nave e durante le interazioni sociali, determinando di fatto l'esito delle nostre azioni. Le probabilità di successo di una determinata scelta rispetto a un'altra verranno indicate in percentuale.
Altro importante parametro da tenere d'occhio è il Terrore, il cui valore determina la frequenza e la potenza degli incubi che l'oscurità genera nel nostro alter-ego. Un valore troppo alto può spingere alla follia, con le dovute conseguenze (non ultima la morte del proprio personaggio).

Trama

Quella di ogni singolo capitano cambierà in base alle vostre scelte iniziali, ma l'ambientazione poggia su una base semplice, per quanto assurda e - forse anche per questo - originale: durante il secolo XIX Londra è precipitata nel sottosuolo... e non è la prima città ad essere sprofondata. In effetti, è la quinta, per quanto non sia dato sapere che da indizi quali siano le precedenti quattro.
Il Bazaar, una sorta di società a metà tra mercato e forza politica, controlla in gran parte la capitale inglese sotto la guida dei Maestri, esseri certamente non umani e dagli insondabili interessi. Poco della vecchia società è rimasto.
Una guerra ormai conclusa tra Inferno e Londra ha portato alla definitiva perdita della passata gloria e all'adattamento dei nuovi abitanti al clima e ai terrori del mondo sotterraneo chiamato Neath (che ho tradotto come un generico e inquietante "Sotto").
Qui, in un mare privo di sole (da cui Sunless Sea, appunto) prendono vita le vostre avventure, tra pirati, soldati, burocrati ed esseri antropomorfi che risiedevano in questo mondo oscuro da prima che Londra cadesse.
Da notare che l'ambientazione riprende ed espande le storie e le idee presenti in Fallen London, gioco archetipo di questo e fortunatissimo browser game dei medesimi sviluppatori (i ragazzi di Fail Better Games).

Punti di Forza

Una colonna sonora straordinaria: brani degni di una grande produzione, ma semplici ed efficaci. A volte delicato, a volte inquietante, a volte vivace, il tono musicale si sposa alla perfezione con le aree che il gioco vi presenta di volta in volta, provocando forti emozioni in base al tema in sottofondo. Questo effetto si sviluppa al punto che si può riconoscere il rientro nella zona limitrofa a Londra Caduta semplicemente ascoltando la ricorrente melodia delle sue acque pacifiche: una sensazione di sollievo che si estende dall'udito a noi stessi, certi finalmente di poter trovare un po' di pace... o forse no?

Uno dei brani del gioco

Ambientazione e Atmosfera: in molti definiscono questo gioco un miscuglio tra gli inquietanti e trasognati racconti di Lovecraft e il genere denominato Steampunk (dove la tecnologia si inserisce prematuramente e in modo anacronistico all'interno di un mondo solitamente vittoriano e di memoria ottocentesca), una descrizione abbastanza azzeccata che condivido. Vi è però di più di ciò. C'è un lavoro sopraffino dietro questo titolo, uno sforzo descrittivo potente ed evocativo che pretende - a buon diritto - una classificazione a parte. Non è soltanto la buona prole di due differenti visioni fantastiche della narrativa, ma più che altro un universo distopico unico, forte, vivo (complici anche i continui aggiornamenti), in cui è impossibile non rimanere affascinati da elementi che, in altri contesti, ci lascerebbero perplessi. Ecco dunque che la magia nera, i patti con esseri spirituali, il commercio in anime e le maledizioni di antiche divinità dimenticate si uniscono e si mescolano a tecnologie superate (e non), strutture e mezzi tanto fatiscenti quanto impressionanti e armamenti capaci di mettere in campo un'impressionante potenza di fuoco.

Passare tra due colossali sfingi di pietra è solo una delle molte stranezze che questo mare vi proporrà!


Testi: ispirati, forti e ben congegnati, talune volte possono apparire sconnessi o un po' troppo astratti, ma l'ermetismo che li avvolge non fa che aumentare il bisogno di informazioni e diventa parte integrante della struttura narrativa del gioco. Dettagli accennati velocemente spesso lasciano adito a molteplici interpretazioni, permettendo al lettore di spaziare con la fantasia e di evocare le peggiori (o le migliori) immagini che la sua mente sia in grado di partorire. Nulla, poi, viene lasciato al caso o troppo a lungo in sospeso: questo gioco di rimandi, di evocazioni letterarie e di pause trasmettono alla perfezione il senso sognante dell'ambientazione, in un continuo succedersi di focus, di piccoli ingrandimenti che, dopo un certo numero di giorni di navigazione sulle spalle, restituiscono una sensazione di familiarità e nel contempo di incompletezza che ci mantiene costantemente curiosi e bramosi di altri assaggi. Un enorme puzzle che prende poco a poco forma senza mai costringersi entro bordi definiti.

Punti deboli

Combattimenti: uno dei talloni di Achille di questo titolo viene a galla piuttosto in fretta, benché si tratti di un aspetto marginale del gioco, ed è proprio il sistema di combattimento. Come accennato qualche riga sopra, l'esplorazione della mappa di gioco è affidata all'uso di una nave con prospettiva dall'alto. Di quando in quando è possibile incrociare sulla nostra rotta una nave nemica o un mostro marino che, se illuminato dalla nostra luce di prua, ci verrà addosso e tenterà di affondarci. Rispondere a queste minacce col fuoco dei nostri cannoni e con altri ammennicoli simili non è un'operazione complessa: purché si mantenga il nemico nel nostro campo visivo, basterà aspettare che l'indicatore di fuoco sia pronto e si potrà selezionarlo per lanciare la prima bordata. Volendo, è anche possibile anticipare l'azione e sparare prima che il segnale sia pronto, a scapito della mira.
Per ogni colpo sparato occorrerà aspettare un tempo di raffreddamento minimo e potremo ripetere l'azione. Il danno, infine verrà affidato alle statistiche dei nostri armamenti (ampliabili e rinnovabili durante l'arco del gioco), mentre la nostra salute in mare sarà indicata per mezzo di un valore chiamato "scafo" (hull), che naturalmente dipenderà a sua volta dalla nave in nostro possesso.
Si potrebbe dire che si tratta di un sistema troppo semplice e poco profondo... e in effetti lo è (d'altronde, lo ripeto, non si tratta di uno dei punti chiave del gioco), ma in fin dei conti è adeguato a quanto richiesto dal titolo e sufficientemente valido per la prospettiva adottata; purtroppo, non è reso al massimo: i movimenti della nave, tutt'altro che complicati, non permettono però una manovrabilità eccellente e la necessità di un'attesa dopo ogni colpo rende difficile poter sfuggire agli attacchi dei propri nemici. Il risultato è che il livello di sfida non è più affidato al singolo combattimento e alle abilità del giocatore, quanto piuttosto all'avanzamento del gioco e al conseguente armamento/difesa del proprio battello. D'altro canto, i nemici "in mare" sono pochi, quindi è facile passare oltre.

Oh, guarda, due granchi giganti. Datemi un minuto che faccio manovra e carico il colpo, eh!

Lento e difficile: se il primo punto debole è immediatamente visibile dopo i primi minuti di gioco, il secondo è meno riconoscibile e, forse, anche meno classificabile come difetto. Occorre infatti giocare abbastanza per accorgersi di una caratteristica intrinseca del titolo: il ritmo ampio e controllato. Intendiamoci, molte storie sono racconti al fulmicotone e dense di adrenalina, ma i viaggi di isola in isola (per quanto si potenzi il motore dell'imbarcazione) sono per contro lenti e a volte snervanti. Il bellissimo paesaggio e la scoperta continua delle prime ore di gioco ovvia a questa problematica, ma dopo alcune partite ci si assuefà all'ambientazione e questo potente effetto visivo e narrativo inizia a perdere mordente. Da quel punto in poi, saranno le inclinazioni del singolo giocatore a determinare quanto e come questa peculiarità esiga in termini di pazienza e sforzo. I più avezzi a ritmi di gioco lenti e misurati non soffriranno affatto del continuo fare porto in isole già visitate - vuoi per motivi economici quali scambi o rifornimenti, vuoi per giungere al successivo passaggio di una determinata storia. Per gli altri, beh, non esistono scorciatoie: occorrerà mettersi il cuore in pace o prendersi una pausa dal videogame, per dare nuova potenza all'ammaliamento che questo titolo genera.

In Sunless Sea la morte è dietro l'angolo
Ho messo in questo paragrafo anche il "problema" della difficoltà, che problema non è, quanto piuttosto una premessa del gioco stesso. Sunless Sea non perdona e non è affatto "amichevole"; al contrario: è un gioco cattivo e punitivo, che premia l'attenzione e la pianificazione sopra ogni altra cosa. Il coraggio di certe scelte, ad esempio, può produrre vantaggi quanto svantaggi e se un atto eroico o rischioso dovrebbe aumentare le nostre ricompense o aprirci parti di storie precluse fino a quel momento, non è improbabile che lo scotto in caso di sconfitta sia terribile ed esoso. Spesso, però, esistono altre vie più subdole (o semplicemente "lente") per raggiungere il medesimo risultato.

Lingua: sì, no, beh (scusate l'abbassamento di tono), c'è poco da fare. Il gioco è ancora - e forse lo sarà per sempre - solo in inglese. Non c'è molto altro da dire: non si tratta di un registro particolarmente complesso, per quanto ricco, ma certi paragrafi sono comunque abbastanza visionari da far perdere il filo ai meno avvezzi. Dizionario alla mano, rimane un'esperienza affrontabile per i molti abituati a un inglese scolastico, ma non voglio indorare troppo la pillola: è un gioco che si basa sulla lettura e la comprensione del testo. Pensateci bene (e siate onesti nel farvi un'autovalutazione), prima di effettuare l'acquisto.

Tirando le somme

Sunless Sea mi ha rapito - come del resto ha fatto la sua controparte "browser", Fallen London - ma non manca di alcuni difetti. Sorvolate le mancanze, però, quello che si ha per le mani è qualcosa di davvero unico, nel panorama videoludico. Lo si potrebbe premiare per questo (cosa che, per inciso, è stata fatta), ma la verità è che non ci si può fermare all'atto di coraggio degli sviluppatori. Sarebbe una valutazione ingiusta, perché questo titolo merita molto di più di qualche parola di plauso e un pollice in alto sullo store di Steam. Sunless Sea va riconosciuto per quello che è: un gioco potente, dalle meccaniche efficaci e dall'ambientazione incredibile. Un mondo vivo e pulsante da assaporare e esplorare in tutti i sensi, mentre la sua atmosfera terrificante e onirica ci rapisce e cattura "un frammento alla volta".

Blaze