lunedì 30 marzo 2015

Una poesia in più: Vorrei

Vorrei
Parlare con parole magiche,
Capaci di tirar su con una strofa,
E riuscire a far sorridere
Chi ha un altro peso nella vita.

Vorrei
Alleggerire il carico sulle altre spalle
E alzare in piedi chi ormai si trascina.
Vorrei scrivere qualcosa che resti,
Che si possa portare dentro fino alla fine.

Vorrei
Lanciare il salvagente a chi nuota,
Prima di vederlo affogare tra la schiuma,
Riuscire -non provare!- a fare,
prodigarmi in qualcosa che conti davvero.

Vorrei
Non essere un placebo, ma curare,
Sapere di contare qualcosa;
Rimanere nascosto ma presente,
Come una grande forza misteriosa.

Vorrei
sapere come si può essere invincibili,
Temprare lo spirito prima delle botte.
Vorrei luce quando il resto è notte,
Essere un passaggio quando si è stanchi.

Vorrei
Un verbo segreto, che sappia aiutare:
Pronunciarlo ad alta voce, ridendo,
Che mi ricordi rapido quanto si vale.
Vorrei capire, ma sul serio, gli altri.

Vorrei
La formula per la felicità e un filo d'erba,
Da stringere in bocca, per sentirmi libero,
E nessun vincolo sociale da rispettare,
Per essere sicuro di poter amare.

Vorrei
Non un attimo, ma un'eternità di pace,
Senza morte, senza annullamento,
Senza il patema delle bollette o la spesa,
Non buttare niente, per non sprecare.

Vorrei
Il cambiamento, costante, senza noia,
Ma vorrei mi stesse bene, evitando forzature.
Vorrei l'aiuto di tutti e aiutare tutti, costantemente,
Per evitare che il merito mi cambi e mi renda solo.

Vorrei
Tornare bambino, come si dice spesso,
Non per altro che per riavere gli occhi.
E vorrei entrare dentro, nell'animo di chi intrappola
Giusto per capire com'è rimasto, lui, intrappolato.

E rivoglio i voglio,
Ma al condizionale, per evitare storpiature.
Non è esigere, lamentare, non è straparlare:
È crescere in concerto con l'obiettivo, in rima,
Sperando che sperare porti il vorrei più in là di prima.

martedì 3 marzo 2015

Il segreto di un autore di successo

È chiaro che non lo conosco, o sarei già uno di loro.
Tutti i "cavalieri dell'ovvietà" mi verranno a dire: non esiste un segreto. "Grazie", gli risponderei, "mi hai illuminato la giornata, guerriero dragone".
No, se anche ci fosse una formula del successo, non saprei applicarla, poiché non riesco a impormi limiti vincolanti anche durante le mie attività ricreative, almeno finché restano tali (ma se è per questo non riesco a fare l'occhiolino, quindi sono già un diverso).
Sono anche sicuro, però, che esistano degli accorgimenti utili, strategie e piani di azione non troppo restrittivi, possibili binari su cui far correre idee e creatività a braccetto.
Proviamo a ipotizzarle assieme (cioè, lo faccio io, ma nel caso funzionino possiamo vantarcene tutti).
Nota bene: aggiungerò degli esempi (tratti da alcuni dei miei libri preferiti, giusto per complicarmi la vita), così da espormi un po' alle vostre critiche. Vi invito però a ricordare che - oltre ad essere mie opinioni e non verità assolute - ogni singolo punto trattato può avere diverse graduazioni di intensità e, in ogni caso, non è detto che da solo basti ad inficiare tutto il resto.

Personaggi credibili: credo che il primo punto da analizzare sia questo. Una delle maggiori difficoltà in cui incorro come lettore è immedesimarmi in un protagonista senza punti d'ombra e quindi, dal mio punto di vista, piatto.
Non esistono uomo o donna perfetti (e se anche fosse, credo li troverei terribilmente noiosi) e di conseguenza nemmeno dovrebbero esserci personaggi privi di un qualche lato negativo. Un difetto, un atteggiamento asociale, un dettaglio fuori posto, una paranoia destabilizzante... qualsiasi sfumatura aggiunge credibilità e avvicina il soggetto della storia a chi la legge.
Il "troppo bello" diventa "brutto".
Vale anche il viceversa: un antagonista (se presente) non può essere banalmente solo cattivo, o finirà per passare inosservato.
Poi, naturalmente, ci sono personaggi più o meno riusciti, ma questa è un'altra storia.
Esempi? Voldemort in Harry Potter, il cui passato difficile non giustifica abbastanza la sua latente malvagità; ma anche il Lord Reggente in Mistborn-l'Ultimo Impero, il quale vive di un odio prevaricante fatto di stereotipi razziali condensato in pochissime apparizioni.
Discorso a parte per Sauron, del Signore degli Anelli, che pur essendo malvagità incarnata, non ha la pretesa di passare per un vero personaggio e si presenta sin da subito come una metafora del male, più che un vero nemico da sconfiggere.

La "sindrome della saga" e il non finito: ...ovvero l'elogio della conclusione e della brevità. Non dico che sia sbagliato buttarsi su una storia raccontata per macro-capitoli, anzi. Io adoro le saghe. Solamente, credo anche che la possibilità di un ampio respiro possa spingere un autore a rimandare spiegazioni ed approfondimenti necessari alla comprensione dell'ambientazione, della storia, dei personaggi stessi. Un mistero è ben voluto, aggiunge intrigo e pepe alla trama; centocinquanta riferimenti oscuri privi di contesto confondono solamente.
Certo, immagino che molti scrittori usino il sistema del "dare per scontato" per conferire alla narrazione una sfumatura più realistica (dopotutto, parlando della nostra realtà quotidiana, nessuno si sentirebbe mai in dovere di spiegare cosa siano cellulari o personal computer, oppure ancora cosa sia la "scienza"), in attesa di un momento valido per impartire la lezione. Tuttavia, un lettore che si avvicina a un libro mai letto è un bambino pieno di domande: potrà anche aver presente quali siano gli elementi di base (se leggi un fantasy, ti aspetti qualche spunto appartenente al "fantastico"), ma vorrà approfondirli e comprenderli. Essere guidati nella scoperta è solitamente più confortante del raccapezzarsi da soli quando ci si sente spaesati (e la gratificazione di esserci riusciti senza aiuti, trovo, può tranquillamente passare in secondo piano).
Un esempio su tutti? La Ruota del Tempo di Robert Jordan. Meglio fanno, invece, le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R.Martin (indebitamente nota come la Saga "Il Trono di Spade"), anche se all'inizio lasciano comunque un senso leggero di "Eh?".

Ambientazioni di ampio respiro: sembrerebbe cozzare con il punto precedente - ed in parte è così - ma in effetti si tratta di un fattore che può benissimo andare a braccetto con capitoli più o meno a se stanti di una saga. Beninteso, è un punto chiave anche di libri senza seguiti. Si tratta, insomma, del rovescio della medaglia de "il troppo stroppia", perché il "tanto da scoprire" invoglia comunque alla lettura e spesso ti aiuta a immergerti più profondamente nella storia raccontata. Una buona ambientazione accompagna la trama, ma quando è anche di ampio respiro, dà adito a più strade percorribili: più ipotesi nella fantasia dei lettori significa alimentarne l'immaginazione. Insomma, aiuta a fare il libro più nostro.
Qui l'esempio non va al negativo: Harry Potter riesce in pieno nell'intento di presentare un mondo comprensibile, ma diverso; da scoprire, eppure familiare sin da subito; vasto, ma che non lascia spaesati.

Colpo di scena: uso il singolare, perché la regola rimane sempre la stessa: "il troppo stroppia"! Tuttavia, se si evita di abusarne fino a rendere incongruenti le vicende dei protagonisti e vano il tentativo di ragionarci su, un colpo di scena ben piazzato può dare la spinta necessaria alle letture più lunghe o ai momenti più opachi della trama. Alle volte, la sorpresa non deve avere un fine di supporto, anzi: può essere una chiave di volta nella trama, un momento essenziale che risolve tutto o che riapre ogni porta appena chiusa.
Certo, occorre saperlo piazzare al momento giusto! Un esempio a sostegno? Beh, ho nominato Martin in senso negativo prima (si fa per dire), quindi mi pare giusto passargli lo scettro in un campo come questo, dove è maestro.

La scelta dello stile: descrittivo e immersivo, o conciso e rapido? No, non generalizziamo, non esiste un modo di scrivere giusto, ma è importante tenere a mente che genere di pubblico si vorrebbe interessare. Spesso questo punto non è totalmente sotto il nostro controllo, ma è anche vero che se il libro che scrivo è adatto a un pubblico di adolescenti, troppe descrizioni di luoghi e personaggi rischieranno di appesantirne la lettura. Viceversa, un libro adatto a un pubblico maturo potrebbe giovarsi di qualche digressione sul paesaggio in più.
Sia ben chiaro: questa generalizzazione non è da intendersi in senso assoluto, ma più di una volta mi sono trovato a sentire pareri di lettori diversi che consigliavano o sconsigliavano lo stesso libro portando a sostegno anche il comparto descrittivo! Io, per me, cerco sempre di tenermi in medias res!

La grafica: immagino che impaginazione e copertina non rientrino (non sempre almeno) nel potere decisionale dello scrittore di turno... ma potendo spendere una parola in merito, non sottovaluterei l'importanza ricoperta da un'illustrazione magnetica, bella al punto da attirare lo sguardo.
Ho come la sensazione che alcune letture mediocri, ma di successo, siano state aiutate - e non poco - dal confezionamento del libro.
No, nessun esempio: questa sarebbe, altrimenti, l'unica critica vera di tutto il mio pezzo.

L'idea originale: ultimo punto di questa mia prima riflessione e... beh, diciamo che ho tenuto l'argomento più scottante per il gran finale.
Non credo ci sia un modo per definire cosa sia davvero originale e cosa invece no, ma credo anche che in fondo non ci sia bisogno di chissà quale illuminazione per comprendere il concetto. Un'idea portante, che faccia da perno al libro intero, deve essere qualcosa di stuzzicante, di interessante e valido. Va da sé che il "già visto" farà fatica ad attirare quanto qualcosa di realmente nuovo: può trattarsi di uno stile diverso dal solito, dello scheletro stesso dell'ambientazione così come semplicemente del modo di presentare le singole vicende. Stupire, però, non è facile: bisogna spiegare bene quello che si introduce per la prima volta, o comunque renderlo facilmente fruibile. Inoltre, non deve trattarsi necessariamente di una "idea" in senso stretto: si può prendere qualcosa di classico e riproporlo in un modo nuovo, fresco, fino a quel momento poco o affatto sfruttato. L'originalità non è un elemento indispensabile nella stesura di uno scritto, ma fa la differenza tra ciò che rimane e ciò che passerà soltanto.
Tuttavia, non si può neanche sperare di fabbricare idee originali, contando su una forza immaginativa che funzioni quasi a comando. Credo che gli scrittori di successo, più che sulla mera fortuna (che non ho messo tra i punti in elenco perché poco utile), abbiano saputo sfruttare un forte momento d'ispirazione. Qualcosa che in molti possono avere, ma che pochi sanno utilizzare per mettere in moto le loro opere.
L'ispirazione è, difatti, quella che ho identificato (come se fossi il primo... vabbé!) come la chiave essenziale del successo: a differenza dell'idea originale - che vi dipende - quest'ultima può essere ricercata, stimolata, corroborata. Scrivendo molto, prima o poi, si riuscirà anche a metterla a frutto. 

Per ora è tutto, ma se avete altri suggerimenti o credete abbia trascurato qualcosa (o anche solo se avete delle critiche da rivolgermi per questa riflessione), scrivete pure un commento qua sotto!
Ah, ovviamente, se al contrario avete scoperto il vero segreto di uno scrittore di successo... beh... accetto sempre mail private da parte dei miei fan!

P.S.= i libri citati, come anticipato, sono per lo più capolavori da me quasi venerati. Non venitemi a dire "Tal libro è bello", che giochiamo nella stessa squadra! Altri commenti di disaccordo, invece, sono ben accetti!