Nessuno mi costringe a
cantare una canzone,
ma tutti mi voglion dire
come devo fare
a darle ritmo, a darle
parole nette e chiare,
a far di tutto il testo
un'unica emozione.
Ma secondo voi, quanto mai
potrai fregarmi
di lasciare indietro note,
pensiero e rima
e guardar al giusto modo
per far prima
nel cercare qualche
editore a cui legarmi?
No, va bene che oggigiorno
basta il pretesto,
basta scrivere un pensiero
sul proprio cellulare,
basta reinventare la
metafora della vita come mare;
insomma: metter su due
righe e fare un testo,
per dirsi bardi e cantori
di questa nuova era,
inaugurata da un biglietto
con un bel aforisma
- poeti di carta che hanno
il numero della risma
ma non la forza della
parola crespa e vera.
Cosa volete che sia, per
me, il far poesia?
Non lo vedete che si
tratta di un capriccio?
Perché dal vivo non
parlo, mi chiudo a riccio
e do voce alla penna, che
vince ogni afasia.
Eh, no! Ma quale intento
pedagogico!
Non è che scrivo per
farmi sentire,
'ché di altri a me
mancano le mire
di far illustre uno sfogo
fisiologico;
scrivo per un'esigenza
primordiale
- e pazienza se il
messaggio viene lungo!
Che anche se non piace io
la mungo
quest'esperienza
meta-psico-sensoriale.
Avrei dovuto smettere di
scrivere da un po'?
I neologismi sono per i
poeti navigati?
Mi dispiace, son tra i
meno fortunati
e persino la rima si
trasforma in un ohibò!
Ma che vuoi farci? Queste
son le stonature!
Troppi scarabocchi e
brutture per fare festa
per chi si auto-invita
nella mia testa
e vuol dettar legge e le
proprie posature.
A te che sei rimasto anche
alla fine del baccano,
offro un bicchiere della
mia migliore ispirazione.
È vero, c'è il sentore
di una brutta delusione,
ma la corposità di un
sogno che va gustato piano.
Resta ancora, se ti va,
tienimi pure compagnia.
Spizzica quel testo, l'ho
fatto senza istruzioni.
È raro e pregiato: sono
speranze, non illusioni.
Non preoccuparti, offro
io. Benvenuto a casa mia.