sabato 19 settembre 2015

BloGame VIII

Ed eccoci qua, il nuovo capitolo del BloGame. Senza troppi preamboli, entriamo nel vivo dell'ambientazione! Ecco la sinossi di ciò che è successo fino ad adesso (per leggerla, occorre evidenziarla col mouse: come al solito, cerco di evitare spoiler a chi è rimasto indietro con la storia).

[Beas – la protagonista del nostro BloGame – si è risvegliata nella casa del guaritore Leos Dobber dopo una lunga fuga dagli inseguitori al servizio di Evansel, l'entità che lei e i suoi compagni hanno cercato di eliminare. Sopravvissuta alla maledizione del dio-mostro, le sue abilità si sono potenziate, amplificandole i sensi e le forze, ma anche le emozioni più feroci. Ne ha fatto le spese Zalk, “Fantasido” delle favole – o, più correttamente, "Telecineta" – inizialmente sospettato di essere un sicario sulle tracce di Beas. Salvato dal linciaggio della nostra eroina da Leos, ha poi dimostrato di essere un vecchio amico del guaritore e insieme a questo ha preteso spiegazioni sull'identità della ragazza e gli eventi che l'hanno trasformata nella spietata combattente della sera precedente.

Avete scelto di far raccontare a Beas la sua storia, omettendo però l'identità del mostro che l'ha maledetta e i dettagli più compromettenti!]

Buona lettura a tutti!



La Maledizione (parte 5)


Leos e Zalk ascoltarono in silenzio quello che Beas aveva da raccontare: parlò del suo gruppo, di Dalkas, della loro missione per distruggere un terribile mostro e di come questi li avesse maledetti. Non si sbottonò troppo sui particolari e omise di dire che si trattava di Evansel. Per quanto ne sapesse, i due potevano esserne degli adoratori.
Al contrario, non lesinò i dettagli circa la sua trasformazione e la nuova condizione in cui si trovava.
Quando ebbe finito, lo sguardo di Dobber e del Telecineta erano fissi su di lei, increduli.
Lo sapevo. Non si fidano...
Prima che la ragazza potesse innervosirsi, però, il guaritore si schiarì la gola e le sorrise.
«Va bene, capisco.»
«Capisci?» gli fece eco Zalk, meno accomodante.
Persino Beas si sorprese di quell'affermazione.
«Davvero mi credi?»
«Hai detto la verità, no?» gli chiese il vecchio di rimando e lei annuì.
Certo, aveva omesso alcuni punti essenziali, ma non poteva dire di aver mentito.
«E di che mostro si tratta, lo sai?»
Beas spalancò gli occhi, spiazzata da quella domanda. A ben pensarci, era solo logico che venisse posta.
«Io... ecco, non lo so. Dalkas ci guidava, ma teneva gran parte delle informazioni per sé.»
Quella bugia faceva leva su un lato del carattere del suo amato che, in effetti, era del tutto reale, ma il capogruppo aveva sempre condiviso le nozioni essenziali. Al massimo, visto il suo modus operandi, poteva aver sorvolato sui particolari superflui.
Zalk non parve bersi la menzogna, ma Leos annuì con un'espressione insondabile sul viso. Non era certa che le credesse, ma di sicuro aveva deciso di fare almeno finta.
«Molto bene, anche se non sono sicuro che questo giochi a nostro favore. Nella mia carriera ho curato malesseri e ferite inferte da molti tipi di mostri, ma non ho mai nemmeno sentito parlare di una cosa del genere. Dovrò fare ricerche. Nel frattempo, sarà meglio che tu impari a controllare queste tue nuove capacità e le emozioni che ti suscitano.»
Beas scosse il capo, ancora più confusa di prima.
«Ma non so come fare, io non ci capisco niente esattamente come voi.» poi, istintivamente, allungò la mano per afferrare quella del suo salvatore.
«Tu puoi aiutarmi?»
«Io no, per ora.» rispose secco lui «Studiando il tuo caso, però, forse troverò qualche notizia utile. Comunque, prima che tu te ne vada, ti procurerò degli infusi che ti aiuteranno a calmarti quando e se ti sentirai... strana, diciamo.»
Di quel discorso, la ragazza maledetta recepì soltanto il fatto che dovesse andarsene.
Ma certo, che ti aspettavi? Per quanto gentile, è pur sempre un vecchio guaritore. Lui cura le persone finché non sembrano abbastanza in forma da poter riprendere le loro strade.” la delusione le serpeggiò sul viso e, pur senza velarle gli occhi di lacrime, la imbronciò e demoralizzò.
«Capisco, allora farò in modo di tornare a trovarti.»
Leos scosse il capo, sempre sorridente.
«Non fraintendermi, non voglio che tu te ne vada. Tuttavia, hai bisogno d'aiuto e io so chi può dartelo.»
Quindi, si volse lentamente e fissò Zalk, che scosse il capo e sbuffò.
«Il Culto non sarà contento, se le porto una grana simile.»
«Oh, lo sarà, invece. E puoi sempre dire che la mando io.»
Beas spostò lo sguardo dall'uno all'altro, in cerca di qualche nozione che, evidentemente, solo lei non riusciva a cogliere. Il guaritore si affrettò a spiegarsi.
«Vedi, cara, Zalk qui è un Cacciatore di Mostri. Chi meglio della sua organizzazione può aiutarti col tuo problema?»
Beas sgranò ancora di più lo sguardo, in cerca di qualche parola, ma non le venne niente: troppe domande le frullavano in testa perché una sola avesse la meglio. Come già era successo, fu Leos a decretare il da farsi, alzandosi e uscendo.
«Perché non ne parlate un poco, mentre preparo qualcosa di caldo?»

I secondi trascorsero nel silenzio e nell'imbarazzo.
«Quindi, sì, insomma...» iniziò a dire lei, senza concludere la frase.
Si schiarì la gola, prima di proseguire. Non voleva essere di nuovo interrogata su quello che aveva appena raccontato e aveva bisogno di indagare più a fondo su gran parte delle informazioni che erano state solo accennate. Zalk non pareva aver fretta di approfondire, ma il suo atteggiamento non era più così scontroso come al suo risveglio. Le lacrime che Beas aveva versato – e la sua espressione tuttora confusa – dovevano averlo addolcito un po'.
Dubito comunque che si fidi di me...” fu costretta a ricordarsi.
«Dunque tu sei un... Fantasido?»
«Già.» ammise il ragazzo con naturalezza.
«E lo hai sempre saputo? Di poter spostare oggetti con la mente, intendo.»
«Certo, perché il Culto mi ha scelto.»
Beas inclinò il capo, disorientata: era la seconda volta che nominavano quella setta. Esisteva, dunque, davvero un ordine a cui fare riferimento, se si possedevano abilità fuori dalla norma?
«Culto?»
«Culto della Nuova Via, a voler essere formali.»
La rossa inclinò il capo, scrutando Zalk con gli occhi ridotti a due fessure. Possibile che fosse tutto vero, che non la stesse solamente prendendo in giro? Dopotutto, Leos non era più lì con loro.
«Com'è che non ne ho mai sentito parlare?» chiese caustica.
«Perché non lo spiattelliamo ai quattro venti. Alcuni sanno della sua esistenza, ovviamente. Beh, non è che nascondi un monastero come se niente fosse, però siamo piuttosto schivi solitamente. Alla gente non piace chi può fare cose in apparenza impossibili. Sono... impauriti, diciamo.»
Beas notò il tono di voce con cui aveva fatto quell'ultima affermazione: poco convinto, quasi sarcastico.
«Ma quindi, cioè, questo posto...»
«Il monastero è solo un luogo,» la corresse lui «il Culto non è qualcosa che trovi su una mappa.»
«Queste persone, allora, loro ti trovano e ti insegnano a spostare le cose col pensiero? A essere un Fantasido?»
Zalk scoppiò a ridere forte, innervosendola.
«Guarda che io sono solo un Telecineta!» proruppe «Certo, è anche colpa mia se sei convinta di questo, la notte scorsa mi sono spiegato male. Siccome siamo il tipo più diffuso di Fantasido, la gente ha sempre teso a considerarci come tali... e non sarebbe neppure sbagliato, solo che siamo soltanto una parte di un'insieme più vasto. Anzi, meglio ancora, più variegato.»
Bea strabuzzò gli occhi: lei, in effetti, era cresciuta nella parte centrale del Regno di Evansel, quindi era possibile che le favole che aveva ascoltato da bambina differissero da quelle della periferia da cui pareva provenire Zalk, considerato il suo accento.
Perché mi parla come se fossi un'idiota, però?
Quel suo atteggiamento le dava proprio sui nervi. Non riusciva a comprendere che la sua confusione era più che normale? A voler trovare una stranezza – una più canonica, visti gli avvenimenti vissuti negli ultimi giorni – era proprio la sua mancanza di cultura popolare a sembrare strana. Il Telecineta non si rendeva conto che per le persone comuni la sua genia viveva solo nei miti, nelle storielle e nelle leggende?
«Bene,» rispose secca e a labbra strette «dal momento che non ci sto capendo granché, ti andrebbe di fare finta, anche solo per un attimo, che io non sappia niente di tutta 'sta roba!?»
Zalk alzò le mani in alto come per arrendersi e, scuotendo il capo, iniziò a spiegare.
«Fantasido è il nome con cui definiamo coloro che hanno particolari poteri. Non sono mai stato molto attento alle lezioni, ma pare che il nome sia legato alla capacità di rendere reale qualcosa che normalmente si può solo immaginare. Naturalmente, ognuno di noi può concretizzare solo un tipo di fantasia. Io ad esempio posso muovere gli oggetti con la telecinesi e vengo dunque definito Telecineta.»
«Ma solo se sono già in movimento.» annuì Bea, che finalmente iniziava a collocare i pezzi del mosaico al loro posto.
«Esatto, come ti sei prontamente accorta durante il nostro piccolo alterco.» concluse il ragazzo moro.
«Lo avresti saputo anche tu, se avessi letto qualche favola da bambino.»
«Le favole che parlano di noi, da me, sono poche. Abbiamo anche pochi libri più ufficiosi, a dire il vero. Come ti ho detto, cerchiamo di passare inosservati e lasciare una traccia scritta alzerebbe più attenzioni di quelle che vorremmo. Il regno non ha mai osteggiato questa nostra decisione, da che ne so. Immagino faccia comodo cancellare la nostra esistenza, magari rende più comodo gestire le persone normali e evita altri problemi come linciaggi pubblici e... cose così.»
Bea annuì, anche se non le era chiaro il perché di quella politica: in fondo, ammesso che le alte sfere ed Evansel stesso temessero esseri simili, organizzare una campagna di epurazione le sembrava più nelle loro corde; più scontata e naturale, volendo, per quanto meschina e disgustosa.
Almeno spiega perché compaiano solo nelle favole: sarebbe impossibile cancellarli dalla storia dei popoli, è molto più facile ingannarne la memoria relegandoli in racconti per bambini...
«Ma il Culto fa quello che fa in accordo col regno di Evansel?» chiese bruscamente, incuriosita dalle dinamiche di quella società sconosciuta.
Zalk fece spallucce.
«Non che io sappia. A dire il vero, ho sempre pensato fossero due specie di superpotenze ben distinte e in continuo stallo fra loro. Due cani che si ringhiano l'un l'altro.»
«Oh.» rimase sorpresa Beas «Credevo che nulla potesse opporsi al regno di Evansel. E che voi foste pochi.» aggiunse in seconda battuta.
«Vero e vero,» confermò il telecineta «ma il mio ordine è ben ramificato e più esteso di quanto appaia a una prima occhiata. Non è qualcosa che si possa debellare facilmente, sempre che sia possibile. Vivere senza dare nell'occhio e senza lasciare tracce assomiglia, dopotutto, a vivere nella segretezza... e in fondo agiamo più o meno clandestinamente, quindi è difficile prevedere le nostre reazioni. Inoltre, siamo utili, dal momento che cacciamo bestie pericolose e risolviamo problemi analoghi. In caso di conflitto, non ci sarebbe una guerra, ma una caccia al diverso che sfocerebbe in guerriglia. L'impero odia i disordini e noi odiamo metterci in mostra. Preferiamo un basso profilo.»
«Se è davvero così, perché mi stai raccontando tutto? Cos'è, mi vuoi reclutare?»
Mentre diceva quelle parole, realizzò come quella fosse, in effetti, una possibilità più che concreta. Lei non era normale, in fondo. Non più.
«Ahah!» rise di rimando Zalk per l'ennesima volta «No, no, figuriamoci! Ma sei in difficoltà ed è chiaro che non sei più... beh, quello che eri prima. Leos vuole aiutarti e sono convinto che il Culto possa metterci in contatto con qualcuno che ci può dire qualcosa. Sarai una sorta di ospite, diciamo.»
«Volete studiarmi?» chiese stizzita Beas.
Il ragazzo la fissò con un sorriso sornione, nei suoi occhi uno strano lampo di sfida. Aveva uno sguardo lucido e malizioso che, a tratti, le ricordava quello di Dalkas.
«E tu, vuoi studiarti?»

A voi la scelta!
A) Seguirlo
B) Beas indagherà per i fatti suoi sul Culto.
C) Beas indagherà per i fatti suoi sulla sua natura, cercando di tenersi lontano dal Culto.
D) Fare altre domande sul Culto e su quello che pensa Zalk, prima di prendere una decisione. La curiosità e i quesiti - anche quelli fastidiosi - prima di ogni cosa... dovesse costarle la proposta di aiuto!

Rassicurazioni

Con tutti i nuovi progetti che sono partiti e - per chi mi conosce, non è una novità - la correzione in corso di un mio romanzo, si potrebbe pensare che le vecchie idee siano state momentaneamente accantonate. Ad esempio, il BloGame. Non è così! Infatti, in giornata, vedrete pubblicato il nuovo capitolo, perciò... restate sintonizzati! ;)

venerdì 18 settembre 2015

Esperimento "colore"

Come promesso, pubblico anche la versione colorata della vignetta che fa da preview della serie.
Siccome l'originale era stato progettato in bianco e nero (con campiture e ombreggiature a mano), l'esito non è dei più felici, ma dà un'idea di come sarebbe! Che dite, dovrei colorarle?


giovedì 17 settembre 2015

Vignette preview!

Come già vi avevo annunciato, presto proporrò su queste pagine telematiche qualche vignetta a sfondo umoristico, giusto per rallegrare un po' le vostre giornate.
La storia che racconterò sarà priva di pretese, strampalata e un pochino non-sense. Ad ogni modo, la serializzerò in più puntate ed ogni episodio (spero) sarà godibile di per sè! Detta così, sembra quasi un cartone animato, ahah!
Chissà, se riscuotono un minimo di successo potrei persino crearci su una paginetta apposta sui social... mah! Per ora rimangono confinate qua! :D

E per aumentare l'hype, vi presento intanto la coppia di protagonisti che danno il nome a questo esperimento fumettistico: ALEX & CTHULHU JR.
Chi sono e come si sono incontrati è materia dei primi episodi, quindi restate sintonizzati!

Blaze

PS= domani pubblicherò anche il disegno colorato, giusto per vedere come viene!







martedì 15 settembre 2015

Star Wars e i libri su licenza


Dopo mesi di ricerca spesi invano - che si sarebbero potuti accorciare sensibilmente, se solo fossi ricorso a ditte come Amazon (ma poi dove finisce il piacere della scoperta?) - avevo quasi rinunciato all'idea di mettere le mani sui due libri in foto, ovvero "Il Cammino Jedi" e "Il Codice Sith". Poi, come per magia, una nuova edizione datata 2015 ha permesso alle librerie di rifornirsi di entrambi i titoli (in quantità industriali, aggiungerei, date le pile all'ingresso della mia preferita).
<<Incredibile! Miracolo!>> potrei dire, se non fossi ben conscio del reale motivo della loro ricomparsa: l'imminente arrivo del nuovo capitolo della saga di Star Wars nelle sale dei cinema. Una semplice opera di merchandising, certo, ma francamente sono contento dei suoi effetti collaterali se significa poter usufruire anche di più o meno vecchi prodotti altrimenti difficili da reperire.
Ora, i due testi in esame sono particolarmente ben confezionati, come chi ha avuto il piacere di sfogliarli saprà bene, ma non raccontano vere e proprie storie. Diciamo, piuttosto, che offrono una sorta di compendio sfizioso che fornisce informazioni nuove sull'elemento più caratteristico della saga fantascientifica in oggetto: la Via della Forza e gli ordini che la praticano, nella declinazione Jedi e in quella della loro controparte Sith.
Non ho intenzione di fare qui una recensione dei due testi, che credo mi verrebbe piuttosto stringata, ma certo voglio cogliere la palla al balzo per poter riflettere con voi circa un fenomeno assai sviluppato, ovvero la scrittura di romanzi su licenza.
Che cosa intendo? Semplice: libri in cui l'autore, quasi sempre su commissione, descrive vicende appartenenti ad ambientazioni proprie di uno specifico brand, un marchio riconoscibile e già famoso. Spesso le storie raccontate non si limitano a riproporre per iscritto la trama di un film o di un videogame, ma ne ampliano i confini aggiungendo nuovi episodi, narrando vicende fino a quel momento ignorate e addirittura, in certi casi, proponendo veri e propri prequel e sequel che entrano di diritto nella continuity (la linea temporale che fa da background e filo conduttore dei prodotti madre).
Il fenomeno non è poi così assurdo, se si pensa come anche la musica partecipi a tutti gli effetti alla creazione di elementi iconici di un dato titolo, come fanno di fatto le colonne sonore.

 Chi non si mette sull'attenti al suono della "Marcia Imperiale" mi avrà deluso per l'ultima volta!

«Ovvio,» direte voi «se è per questo ci fanno anche giocattoli e spillette, se un film è di successo!»
Verissimo, ma il discorso che voglio fare è un po' diverso. Non parlo del bisogno di sfruttare appieno un brand, ma del particolare fenomeno che vede l'ampliamento delle sue ambientazioni tramite l'uso di canali diversi e di analizzarne la bontà.
So che non si tratta di uno scambio a senso unico e che oggigiorno è ben possibile vedere fumetti tramutati in film, videogames in fumetti e via di seguito: un insieme di offerte davvero ampissimo, ma i libri come quelli di Star Wars, tratti da una saga cinematrografica storica e campione d'incassi, in quale prospettiva si collocano rispetto al mondo da cui sono generati? Sono tasselli superflui o nuovi pilastri da cui partire? Produzioni che arricchiscono o trascurabili lavoretti privi di spunti utili e/o originali?
La domanda è sincera, stavolta (e i vostri pareri sono ben voluti nei commenti). Naturalmente, immagino che ogni caso vada preso e analizzato a sé, ma in passato non ho mancato di sentire critiche accese verso i romanzi su licenza, in particolare verso quelli di questa saga.
Si tratta, però, di una produzione troppo vasta per liquidarla con tanta facilità... senza contare che ho anche amici e conoscenti che hanno invece espresso pareri positivi verso queste pubblicazioni. Io, dalla mia, rimango incuriosito da questo fenomeno - e non mancherò di ampliare presto la mia conoscenza in merito - ma, basandomi su quel poco che ho potuto vedere per altri brand, sono sempre più convinto che si tratti di un'ottima cosa: in fin dei conti, poter esplorare ancora universi altrimenti confinati in pochi giri di pellicola è una pratica che serba dentro sé potenzialità enormi e che quindi, pur rischiando di fallire, ritengo vada comunque incoraggiata.
Si potrebbe dire molto altro, ma mi fermo qua e lancio la palla a voi lettori. Fatemi sapere la vostra!

Blaze

domenica 13 settembre 2015

Una serata diversa dalle altre

Stasera sono uscito a godermi l'iniziativa svoltasi a Imola, una delle "mie" tre città Emiliano-Romagnole (in pratica, da parecchi anni oscillo tra pendolarismo e brevi permanenze tra questa, Forlì e Bologna). Il tema di questa giornata era "zombie e cosplay", tra maschere, bodypainting e make-up: veri e propri capolavori del trucco che hanno saputo trasformare comuni cittadini in zombie famelici e agguerriti sopravvissuti.
Una sera in cui ho potuto assaporare un po' di sano intrattenimento sociale, fra chiacchiere, sorrisi e foto... e allora ho riflettuto.
"Strano," penseranno i più sarcastici fra voi "non succede mai". Beh, a questi tipi vorrei dire che... ecco... sono dei... dei...
...ah, lasciamo stare. È tardi, ho sonno e sono stanco. Volevo scrivere dell'evento finché ancora ce l'avevo ben impresso in mente. Già, perché le immagini di tante persone mascherate ad hoc per riproporre le atmosfere di un tema ben preciso come quello dei redivivi resi famosi da Romero e trasformati in cult da altri blockbuster di ottima qualità (ad esempio The Walking Dead, fumetto e serie tv), per quanto figli del più macabro tra i riflessi horror, si sono marchiate a fuoco nelle mie retine, oltre che nell'obiettivo di molti cellulari e macchine fotografiche. Una vita - paradossalmente - e un'armonia che difficilmente si riesce a vedere oggigiorno. Anche a questo possono servire dunque i grandi temi fantasy, fantascientifici e urban-fantasy che colorano i nostri romanzi e videogames preferiti . A dimostrazione che non c'è nulla di più vivo e utile al reale che un pizzico di fantastico.
...degli zombie! Ecco cosa sono! mi è venuto in mente!
(notte)
Blaze
ps- ringrazio il tizio in foto, che si è prestato allo scatto. Non so chi sia, me ne scuso.

Errata Corrige: finalmente so chi è il ragazzo in foto! Un grazie speciale a Maxx Melato, bravissimo make-up artist, oltre che zombie! ;)

venerdì 11 settembre 2015

Minecraft e... Doctor Who?


Voglio rimanere in tema con le mie due ultime recensioni, oggi.
Non lo faccio spesso (potrei aumentare la frequenza, però), ma voglio suggerire a tutti gli appassionati di videogames o del Dottore - o ancora meglio, le due cose assieme - di guardarsi questo buffo video che unisce Minecraft alla celebre serie britannica. Non conosco abbastanza bene il primo per cogliere tutti i riferimenti, ma mi è bastata l'esperienza col secondo per godermi la storiella priva di pretese. Probabilmente, anche un neofita di entrambi i titoli potrebbe trovarlo un esperimento riuscito!

Blaze

giovedì 10 settembre 2015

BlogScreen: Doctor Who


Benché sia sempre più conosciuta anche in Italia, la serie britannica "Doctor Who" vanta un minor seguito nel Bel Paese rispetto a quello concesso ad altri telefilm in lingua inglese. Eppure, come prima serie televisiva di questo spazio telematico, ho scelto di parlarvi di lei anziché di un'altra per due motivi: è la più longeva tra quelle di genere fantascientifico e... sono il Dottore.
Cos'è il Dottore? No, no, domanda sbagliata! Sbagliatissima!
Ad ogni modo, questa storia parla di un alieno, un cosiddetto "Signore del Tempo" dal pianeta Gallifrey.
Signore-del-tempo... perché una razza aliena dovrebbe avere un nome simile? Semplice! Perché adora mangiare bastoncini di pesce con la crema pasticc-no no! Scusate, quello sono io. No, il motivo è semplice davvero in realtà: perché viaggia nel tempo (e nello spazio, ma evidentemente la cosa è passata in secondo piano al momento di decidere il nick) grazie a una cabina telefonica di colore blu. Esatto, una di quelle vecchie cabine inglesi che forse avrete visto in qualche film, una volta. Ah, ma naturalmente non preoccupatevi, non si tratta certo di una vera cabina! Anzi, tutt'altro, è un'astronave, il TARDIS! Ed è anche più grande all'interno (guai a chi dice che sembra "più piccolo all'esterno")!
Ecco, scusate, ho divagato. Divago sempre. Fa bene divagare, anche se voi lo scoprirete soltanto fra molto, molto tempo. Tipo... mmh... molto, molto tempo!
Ah-ehm! Torniamo a noi.
Abbiamo un alieno dalle sembianze umane, ma con due cuori. Una nave spaziale in grado di viaggiare attraverso lo spazio e il tempo. Cos'altro manca? Beh, un "cacciavite sonico", l'aggeggio che il protagonista porta sempre con sé e che fa, tipo, tutto. Analizza, smuove, attiva, disattiva (la gente si scorda sempre della funzione "disattiva") e molto, molto altro. Però non è un'arma! Assolutamente: si tratta di uno strumento scientifico, per giunta con alcune limitazioni (ad esempio, quando si scende sul piano biologico il meglio che riesca a fare è scansionare).
Date queste premesse, si può salvare l'universo. Già, perché è esattamente questo quello che succede nelle puntate di "Doctor Who": il Dottore, aiutato da diversi compagni a seconda della stagione (già 8, al momento dello scritto. Le stagioni, non i compagni) si scontra e confronta con problemi planetari, interplanetari, galattici, intergalattici, universali e addirittura interuniversali. Il tutto, naturalmente, a spasso nel tempo e farcito con molte altre razze aliene.
Certo, me ne rendo conto, alcuni "effetti speciali" utilizzati per raccontarvi le mie avventure possono sembrare sottotono rispetto ad altre produzioni vostrane (avete già inventato il termine vostrano?), così come diversi nemici - fra tutti la nemesi del protagonista per eccellenza, i Dalek - possono apparire superati nel design e nella caratterizzazione psicologica, ma... beh! Come vi ho detto è la serie fantascientifica più longeva di sempre! Per quanto si possa svecchiare, alcuni fondamentali devono rimanere invariati. Inoltre, i Dalek sono davvero fatti così, quindi niente storie.
Ad ogni modo, non preoccupatevi, non vi annoierete di certo: le singole puntate sono elettrizzanti, spesso al fulmicotone e sparsi qua e là, costellati lungo tutta la serie, vengono elargiti indizi su quelli che possiamo considerare alcuni dei finali di stagione più sconvolgenti di sempre. Nessuna monotonia! Tutto cambia, in continuazione... persino io. Già, non l'avevo detto, ma ho il potere di "rigenerarmi" (di fatti, ho più di 1200 anni, ormai), per questo l'attore che mi interpreta di quando in quando cambia. E la colonna sonora non è affatto male: al di là del tema principale, che è iconico quanto la cabina telefonica, i brani musicali sono frizzanti o malinconici a seconda della necessità.

Dududu-dududu-dududu duh duh duh... Wiiiuuuuuuh!

Quindi, certo, è una serie che va vista contestualizzandola - perché non ha rinunciato alla "continuità" con l'universo (tele)filmico prodotto fino a quel momento e, quindi, soffre di alcuni acciacchi dovuti all'invecchiamento. Tuttavia, si offre leggera e vivace, spaziando da momenti ilari a momenti drammatici con la stessa efficacia e semplicità con cui ti chiede di accettarne il preambolo.
Quindi, direte voi, c'è un Dottore che salva il mondo e che si fa aiutare spesso da alcuni compagni, ok. Ma Dottore chi? Oooh! Bene. Ecco, ci siamo. Avete fatto la domanda giusta.
Certo, di sicuro io non vi risponderò, ma senza che qualcuno ve lo spieghi in maniera diretta, basterà guardare il telefilm per comprendere con chi avete a che fare: un super eroe buono, strano, che non ricorre (quasi) mai alla violenza e geniale più di... tutti, direi.
Quindi, a chiunque - e intendo proprio chiunque, al di là delle proprie preferenze personali e del proprio sistema galattico di appartenenza - consiglio vivamente di provare a guardare un episodio, anche solo uno a caso, di questa fantastica serie. Sono sicuro che vi piacerà o, quantomeno, vi strapperà un sorriso.
Come faccio a saperlo? Semplice.
Sono il Dottore.


Il Dottore (e Blaze, che si è assicurato il tutto avesse un senso)

martedì 8 settembre 2015

RadioBlog 6



In questo periodo in cui sto cercando di curare maggiormente il Blog e la parte social della mia produzione scritta, mi è tornato in mente quando pubblicavo con una certa frequenza brani musicali accompagnati da apprezzamenti o brevi riflessioni.
Perché ho smesso? Beh, i motivi sono gli stessi che mi hanno spinto per un po' a trascurare questa mia creatura, ma ora sono più attivo e, quindi, pronto a riprendere in mano anche la buona, vecchia RadioBlog.
Ho scelto questo pezzo perché, malgrado non sia molto famoso (fa parte della colonna sonora del film fantascientifico "Sunshine"), mi trasmette una grande energia, senza però perdere un tocco di serenità. Il paradosso, quando riesce, smette di essere tale e trasforma il brano in qualcosa di più: i due elementi si rinforzano a vicenda, esaltandosi.
Pur non intendendomene di musica, trovo che questo "adagio" sia denso di emozioni e colmo di aspettative. Adattissimo, quindi, a momenti di rivalsa quanto a scene clue piene di pathos.
Cari lettori, vi uso spesso come interlocutori, quindi vi chiamerò in causa anche stavolta: «Beh, certo!» direte «In un film casca a pennello, ma cosa c'entra con la scrittura?»
Vero, di questo mi occupo (per quanto il Blog stia sempre più spaziando in altri campi), ma fidatevi: non sono affatto fuori strada. Persino un pezzo di poesia o di narrativa ha il suo frammento più intenso, la sua parte più potente e una colonna sonora intrinseca, fatta di impennate di entusiasmo o di tragicità. Un brano musicale - uno come questo, ad esempio - può aiutarti a trasformare poche righe di testo in una sinfonia di emozioni. Le azioni, i pensieri e i dialoghi alimentati dalla musica con un po' di fortuna possono divenire particolarmente ispirati e i testi ispirati, a loro volta, possono catturare un poco della magia della musica stessa. Forse è proprio questo a rendere certi passaggi più memorabili di altri.
Vi lascio con un suggerimento che, in realtà, è un'abitudine di molti: provate a leggere mettendo in sottofondo della musica - una serie di brani, magari, che sappia adattarsi al ritmo della narrazione (concitato, rilassato, sospeso? Valutate voi!) - e sentirete il cambiamento! Le scene raccontate e le emozioni veicolate dal romanzo diverranno, all'improvviso, più forti che mai, regalandovi un livello superiore di immersione nella storia e nelle vite dei vostri personaggi preferiti.

Blaze

lunedì 7 settembre 2015

Una recensione in più (videogames): Sunless Sea



"Il capitano salì sulla barca. Gli uomini dell'equipaggio erano colmi di aspettative e paura, due sensazioni che gli erano molto familiari. Anzi, poteva quasi affermare che si trattava di una combinazione imprescindibile e necessaria per chi volesse esplorare quel mare oscuro. L'aspettativa ti teneva vivo, la paura vigile. L'incredibile distesa d'acqua e terrore che che si estendeva là, nel mondo Sotto, non risparmiava nessuno.
Fissò i suoi uomini, prima di parlare: alcuni di loro non sarebbero mai tornati a far porto a Londra Caduta. Non era né un presentimento, né una certezza, ma sapeva abbastanza di quello che li attendeva là fuori per ritenerlo probabile.
Annunciò la rotta che avrebbero seguito e disse il nome del luogo maledetto che avrebbero dovuto raggiungere per conto dell'Ammiragliato. Si sentiva in cuor suo un poeta dei vecchi tempi, per cui cercò di rintuzzare i loro animi con le storie di ricchezza e scoperta, ma a poco servì. Era la necessità a spingerli lontani dalla terra ferma, lo sapeva bene: chi per soldi, chi per i propri fantasmi del passato, ognuno aveva le sue motivazioni. Segreti, un'altra valuta di quel mondo sotterraneo.
Sospirò, vedendoli tornare a lavoro: quantomeno, avrebbero continuato a fare il loro dovere, finché avessero sentito il motore vibrare e avessero avuto cibo per mangiare. Provviste e carburante erano adeguati alla missione e sufficienti a sopperire a qualche imprevisto, ma lo stesso non poteva dirsi per le eco - la loro maledetta moneta. Con un po' di fortuna avrebbe concluso qualche affare e si sarebbe intascato il bottino necessario a lasciare la sua stanza sul molo. Forse.
Lì, nel mondo Sotto, ogni avventura era un sogno pronto a divenire incubo."

Ho deciso di inaugurare questa nuova sezione del Blog con la recensione del videogame che più mi sono divertito a giocare (il poco che sono riuscito) negli ultimi tempi: Sunless Sea.
Il titolo in questione, disponibile per PC già da un po' di tempo su Steam, propone un genere a se stante, atipico, perché unisce molte meccaniche diverse in una combinazione che a tratti vacilla, ma sicuramente stupisce e cattura.
Volendo offrire una definizione, lo si potrebbe classificare come un gioco di esplorazione e sopravvivenza: si impersona il capitano di una nave e si muove quest'ultima in un vasto mare, cercando nuovi porti, effettuando scambi commerciali e acquistando e vendendo beni, con un occhio sempre attento alle proprie provviste e al carburante necessari ad alimentare rispettivamente il proprio equipaggio e il proprio motore.
Tuttavia, sarebbe una descrizione molto limitante. Già, perché - poste queste semplici premesse - vanno poi illustrate alcune altre meccaniche peculiari che non si limitano a fare da contorno, ma, anzi!, connotano ulteriormente il gioco con il loro tocco. Sto parlando del sistema di collezione di oggetti e del loro uso per il dipanamento della trama e delle altre numerosissime storie, presentate per mezzo di interfacce a scelta multipla che ricordano molto da vicino i buoni, vecchi librigame.


 Esplorare il "Mare senza sole" non è cosa da poco, né per capitani qualunque.

L'esplorazione di questo mondo onirico avviene facendo navigare il proprio battello: la visuale è posta dall'alto, in una prospettiva che ricorda i primissimi GTA, ma che risulta azzeccata per illustrare una mappa costellata di isole, vortici, abissi e luoghi che sfuggono a una semplice denominazione. Tutto, in aggiunta, presentato in una stupenda grafica 2D: disegni di una bellezza unica, capaci di evocare i medesimi paesaggi trasognati descritti nelle numerosissime righe di testo di chiara ispirazione Lovecraftiana.
Ogni porto aprirà una finestra con le zone accessibili.
In ogni porto, poi, si aprirà una finestra contenente le zone accessibili e le opzioni che vi si possono intraprendere; il tutto, naturalmente, condito da descrizioni evocative, storie intriganti, vicende piene di mordente e ambienti decisamente ispirati.
Ogni volta che scopriremo qualcosa otterremo dei "frammenti" che, raggiunta una certa quantità, diverranno poi "segreti". Questi serviranno, assieme a una serie di altre risorse - tutte rappresentate da oggetti in nostro possesso e ottenute come ricompensa per l'avanzamento di certi racconti - a sbloccare nuove storie o ottenere particolari bonus o incrementi alle caratteristiche.
Le statistiche del personaggio (Iron, Mirrors, Veils, Hearts e Pages)  rispecchiano personali abilità al comando della nave e durante le interazioni sociali, determinando di fatto l'esito delle nostre azioni. Le probabilità di successo di una determinata scelta rispetto a un'altra verranno indicate in percentuale.
Altro importante parametro da tenere d'occhio è il Terrore, il cui valore determina la frequenza e la potenza degli incubi che l'oscurità genera nel nostro alter-ego. Un valore troppo alto può spingere alla follia, con le dovute conseguenze (non ultima la morte del proprio personaggio).

Trama

Quella di ogni singolo capitano cambierà in base alle vostre scelte iniziali, ma l'ambientazione poggia su una base semplice, per quanto assurda e - forse anche per questo - originale: durante il secolo XIX Londra è precipitata nel sottosuolo... e non è la prima città ad essere sprofondata. In effetti, è la quinta, per quanto non sia dato sapere che da indizi quali siano le precedenti quattro.
Il Bazaar, una sorta di società a metà tra mercato e forza politica, controlla in gran parte la capitale inglese sotto la guida dei Maestri, esseri certamente non umani e dagli insondabili interessi. Poco della vecchia società è rimasto.
Una guerra ormai conclusa tra Inferno e Londra ha portato alla definitiva perdita della passata gloria e all'adattamento dei nuovi abitanti al clima e ai terrori del mondo sotterraneo chiamato Neath (che ho tradotto come un generico e inquietante "Sotto").
Qui, in un mare privo di sole (da cui Sunless Sea, appunto) prendono vita le vostre avventure, tra pirati, soldati, burocrati ed esseri antropomorfi che risiedevano in questo mondo oscuro da prima che Londra cadesse.
Da notare che l'ambientazione riprende ed espande le storie e le idee presenti in Fallen London, gioco archetipo di questo e fortunatissimo browser game dei medesimi sviluppatori (i ragazzi di Fail Better Games).

Punti di Forza

Una colonna sonora straordinaria: brani degni di una grande produzione, ma semplici ed efficaci. A volte delicato, a volte inquietante, a volte vivace, il tono musicale si sposa alla perfezione con le aree che il gioco vi presenta di volta in volta, provocando forti emozioni in base al tema in sottofondo. Questo effetto si sviluppa al punto che si può riconoscere il rientro nella zona limitrofa a Londra Caduta semplicemente ascoltando la ricorrente melodia delle sue acque pacifiche: una sensazione di sollievo che si estende dall'udito a noi stessi, certi finalmente di poter trovare un po' di pace... o forse no?

Uno dei brani del gioco

Ambientazione e Atmosfera: in molti definiscono questo gioco un miscuglio tra gli inquietanti e trasognati racconti di Lovecraft e il genere denominato Steampunk (dove la tecnologia si inserisce prematuramente e in modo anacronistico all'interno di un mondo solitamente vittoriano e di memoria ottocentesca), una descrizione abbastanza azzeccata che condivido. Vi è però di più di ciò. C'è un lavoro sopraffino dietro questo titolo, uno sforzo descrittivo potente ed evocativo che pretende - a buon diritto - una classificazione a parte. Non è soltanto la buona prole di due differenti visioni fantastiche della narrativa, ma più che altro un universo distopico unico, forte, vivo (complici anche i continui aggiornamenti), in cui è impossibile non rimanere affascinati da elementi che, in altri contesti, ci lascerebbero perplessi. Ecco dunque che la magia nera, i patti con esseri spirituali, il commercio in anime e le maledizioni di antiche divinità dimenticate si uniscono e si mescolano a tecnologie superate (e non), strutture e mezzi tanto fatiscenti quanto impressionanti e armamenti capaci di mettere in campo un'impressionante potenza di fuoco.

Passare tra due colossali sfingi di pietra è solo una delle molte stranezze che questo mare vi proporrà!


Testi: ispirati, forti e ben congegnati, talune volte possono apparire sconnessi o un po' troppo astratti, ma l'ermetismo che li avvolge non fa che aumentare il bisogno di informazioni e diventa parte integrante della struttura narrativa del gioco. Dettagli accennati velocemente spesso lasciano adito a molteplici interpretazioni, permettendo al lettore di spaziare con la fantasia e di evocare le peggiori (o le migliori) immagini che la sua mente sia in grado di partorire. Nulla, poi, viene lasciato al caso o troppo a lungo in sospeso: questo gioco di rimandi, di evocazioni letterarie e di pause trasmettono alla perfezione il senso sognante dell'ambientazione, in un continuo succedersi di focus, di piccoli ingrandimenti che, dopo un certo numero di giorni di navigazione sulle spalle, restituiscono una sensazione di familiarità e nel contempo di incompletezza che ci mantiene costantemente curiosi e bramosi di altri assaggi. Un enorme puzzle che prende poco a poco forma senza mai costringersi entro bordi definiti.

Punti deboli

Combattimenti: uno dei talloni di Achille di questo titolo viene a galla piuttosto in fretta, benché si tratti di un aspetto marginale del gioco, ed è proprio il sistema di combattimento. Come accennato qualche riga sopra, l'esplorazione della mappa di gioco è affidata all'uso di una nave con prospettiva dall'alto. Di quando in quando è possibile incrociare sulla nostra rotta una nave nemica o un mostro marino che, se illuminato dalla nostra luce di prua, ci verrà addosso e tenterà di affondarci. Rispondere a queste minacce col fuoco dei nostri cannoni e con altri ammennicoli simili non è un'operazione complessa: purché si mantenga il nemico nel nostro campo visivo, basterà aspettare che l'indicatore di fuoco sia pronto e si potrà selezionarlo per lanciare la prima bordata. Volendo, è anche possibile anticipare l'azione e sparare prima che il segnale sia pronto, a scapito della mira.
Per ogni colpo sparato occorrerà aspettare un tempo di raffreddamento minimo e potremo ripetere l'azione. Il danno, infine verrà affidato alle statistiche dei nostri armamenti (ampliabili e rinnovabili durante l'arco del gioco), mentre la nostra salute in mare sarà indicata per mezzo di un valore chiamato "scafo" (hull), che naturalmente dipenderà a sua volta dalla nave in nostro possesso.
Si potrebbe dire che si tratta di un sistema troppo semplice e poco profondo... e in effetti lo è (d'altronde, lo ripeto, non si tratta di uno dei punti chiave del gioco), ma in fin dei conti è adeguato a quanto richiesto dal titolo e sufficientemente valido per la prospettiva adottata; purtroppo, non è reso al massimo: i movimenti della nave, tutt'altro che complicati, non permettono però una manovrabilità eccellente e la necessità di un'attesa dopo ogni colpo rende difficile poter sfuggire agli attacchi dei propri nemici. Il risultato è che il livello di sfida non è più affidato al singolo combattimento e alle abilità del giocatore, quanto piuttosto all'avanzamento del gioco e al conseguente armamento/difesa del proprio battello. D'altro canto, i nemici "in mare" sono pochi, quindi è facile passare oltre.

Oh, guarda, due granchi giganti. Datemi un minuto che faccio manovra e carico il colpo, eh!

Lento e difficile: se il primo punto debole è immediatamente visibile dopo i primi minuti di gioco, il secondo è meno riconoscibile e, forse, anche meno classificabile come difetto. Occorre infatti giocare abbastanza per accorgersi di una caratteristica intrinseca del titolo: il ritmo ampio e controllato. Intendiamoci, molte storie sono racconti al fulmicotone e dense di adrenalina, ma i viaggi di isola in isola (per quanto si potenzi il motore dell'imbarcazione) sono per contro lenti e a volte snervanti. Il bellissimo paesaggio e la scoperta continua delle prime ore di gioco ovvia a questa problematica, ma dopo alcune partite ci si assuefà all'ambientazione e questo potente effetto visivo e narrativo inizia a perdere mordente. Da quel punto in poi, saranno le inclinazioni del singolo giocatore a determinare quanto e come questa peculiarità esiga in termini di pazienza e sforzo. I più avezzi a ritmi di gioco lenti e misurati non soffriranno affatto del continuo fare porto in isole già visitate - vuoi per motivi economici quali scambi o rifornimenti, vuoi per giungere al successivo passaggio di una determinata storia. Per gli altri, beh, non esistono scorciatoie: occorrerà mettersi il cuore in pace o prendersi una pausa dal videogame, per dare nuova potenza all'ammaliamento che questo titolo genera.

In Sunless Sea la morte è dietro l'angolo
Ho messo in questo paragrafo anche il "problema" della difficoltà, che problema non è, quanto piuttosto una premessa del gioco stesso. Sunless Sea non perdona e non è affatto "amichevole"; al contrario: è un gioco cattivo e punitivo, che premia l'attenzione e la pianificazione sopra ogni altra cosa. Il coraggio di certe scelte, ad esempio, può produrre vantaggi quanto svantaggi e se un atto eroico o rischioso dovrebbe aumentare le nostre ricompense o aprirci parti di storie precluse fino a quel momento, non è improbabile che lo scotto in caso di sconfitta sia terribile ed esoso. Spesso, però, esistono altre vie più subdole (o semplicemente "lente") per raggiungere il medesimo risultato.

Lingua: sì, no, beh (scusate l'abbassamento di tono), c'è poco da fare. Il gioco è ancora - e forse lo sarà per sempre - solo in inglese. Non c'è molto altro da dire: non si tratta di un registro particolarmente complesso, per quanto ricco, ma certi paragrafi sono comunque abbastanza visionari da far perdere il filo ai meno avvezzi. Dizionario alla mano, rimane un'esperienza affrontabile per i molti abituati a un inglese scolastico, ma non voglio indorare troppo la pillola: è un gioco che si basa sulla lettura e la comprensione del testo. Pensateci bene (e siate onesti nel farvi un'autovalutazione), prima di effettuare l'acquisto.

Tirando le somme

Sunless Sea mi ha rapito - come del resto ha fatto la sua controparte "browser", Fallen London - ma non manca di alcuni difetti. Sorvolate le mancanze, però, quello che si ha per le mani è qualcosa di davvero unico, nel panorama videoludico. Lo si potrebbe premiare per questo (cosa che, per inciso, è stata fatta), ma la verità è che non ci si può fermare all'atto di coraggio degli sviluppatori. Sarebbe una valutazione ingiusta, perché questo titolo merita molto di più di qualche parola di plauso e un pollice in alto sullo store di Steam. Sunless Sea va riconosciuto per quello che è: un gioco potente, dalle meccaniche efficaci e dall'ambientazione incredibile. Un mondo vivo e pulsante da assaporare e esplorare in tutti i sensi, mentre la sua atmosfera terrificante e onirica ci rapisce e cattura "un frammento alla volta".

Blaze

venerdì 4 settembre 2015

Un altro tipo di ispirazione



Da aspirante scrittore di romanzi (inteso come "professionista", già che del termine ci si appropria oggigiorno con estrema facilità) quale sono, voglio condividere con voi una nuova riflessione sull'ispirazione più schietta.
In passato ho accennato al bisogno elementare che questa forma di entusiasmo gioca nella stesura di un testo, ma questa volta non intendo parlare di quello slancio che porta a produrre in mezzo pomeriggio più di quanto si riesca a fare in giornate intere, né a quell'idea originale che è capace di generare da sola tutti i dettagli che le servono e la struttura che la sostenga. No, parlerò di qualcosa di più pragmatico: lo sprone alla produzione del testo stesso, la formula essenziale per un "buon scritto".
Già sento le prime proteste (al di là della soggettività circa "la bontà" del prodotto), a cui in effetti mi unirei anch'io se non avessi ben altro punto a cui arrivare: "Difficilmente uno scrittore, per quanto esperto, dotato o ispirato, sarà soddisfatto del suo lavoro al primo colpo di penna!"
Vero, anzi, verissimo. Credo, infatti, che difficilmente lo sarà mai del tutto e che l'unica cosa che spinga a liberarsi di un testo sia, a conti fatti, il bisogno di vederlo concluso, magari anche solo per esasperazione. Per quanto mi riguarda, questa evenienza se la gioca a tavolino con la voglia di un riscontro da parte di un lettore - magari io stesso, a distanza di tempo - e la paura di strafare, aggiungendo più di quanto serva.
Eppure, spesso lo scritto non corrisponde in modo adeguato all'idea che di esso ci eravamo fatti. A volte si ha quasi la sensazione, anzi, che l'idea stessa non sia poi questo granché, se il testo non è in grado di rispecchiarla appieno, se non sgorga in modo naturale e soddisfacente. Che grave errore sarebbe dare sempre credito a questo sospetto!
Può capitare, magari durante la stesura di un libro, che una parte o semplicemente un piccolo passaggio ci risulti ostico e difficile da produrre, da mettere nero su bianco. Scrivere non è sempre un fiume in piena e non deve per forza sempre esserlo. Anzi, spesso l'ispirazione va cercata. Occorre costringersi e perseverare nella stesura.
Beh, oggi mi è successo proprio questo (da cui la riflessione). Ci sono giorni in cui, per quanto ci si sforzi di battere sui tasti in cerca di un periodo efficace, o di una frase che si porti dietro il resto dei pensieri come un'onda trascinatrice, o ancora di un'illuminazione che sappia dar forma al testo... ci sono giorni, dicevo, in cui qualcosa proprio non va. In quei momenti le parole si susseguono assieme ai concetti, ma senza vita. Come se non fossimo stati capaci di convogliare la loro vera potenza semantica, come se fossimo riusciti addirittura di privarli di un significato.
Cos'è che non va, in questi casi? Non abbiamo indovinato l'ordine giusto? Ci siamo scordati un passaggio essenziale? Siamo preda di una mistica afasia? Cosa non ci convince? I nostri discorsi sono banali, scontati, troppo articolati, sterili o incongruenti?
L'impressione che si ha è diversa dal momento: voi scegliete pure la vostra, quella che vi capita più di frequente, che tanto non di rado mi è capitato di soffrirle tutte assieme.
Non sto parlando di qualcosa di saltuario, in realtà, come i meno fortunati fra voi avranno già intuito. Anzi, per quanto uno ami scrivere, capita quasi quotidianamente: le belle idee, fatta eccezione per quelle giornate in qui si è naturalmente ispirati anche nella stesura del testo, fluttuano tra i nostri pensieri senza lasciarsi inchiostrare.
Per rendere meglio il concetto e analizzarlo, devo tornare alla mia personale situazione di oggi: in questi ultimi tempi ho maturato un'ambientazione e la relativa trama per una storia fantascientifica, per cui questa mattina ho deciso di dare forma al tutto. Mi sono così preparato a tirar fuori dal mio caos creativo fatto di foglietti sparsi, file .txt e quaderni sgualciti gli appunti necessari a formulare delle vere e proprie linee guida. Poi, come faccio sempre in questi casi (una sorta di mia consuetudine rituale), ho cercato di scrivere il primo capitolo. Bam! Buio totale: un vuoto cosmico che ha saputo mettere in dubbio direttamente la mia conoscenza non già dell'italiano, ma dell'alfabeto.
Non so quando mi sia capitato la prima volta - si torna troppo indietro negli anni per ricordare - ma è certo che di soluzioni al problema ne ho adottate molte col passare del tempo e ormai ho le mie scorciatoie, i miei trucchetti per non lasciar perdere. Nulla di trascendentale, anzi: in misura altalenante in base all'esigenza del momento, si tratta sempre di un mix di musica (la grande salvatrice, che non per nulla precede il mio intero post), svago della mente (spesso una carrellata di immagini o qualche riga di un buon libro sono un toccasana) e infine un "esercizio di scrittura creativa" o un flusso di pensieri. Se il primo ingrediente di questa panacea all'afasia mi risulta particolarmente efficace nel dare ordine ai pensieri e nello smuovere le mie emozioni per i pezzi più "ricchi" di pathos, la seconda è un cliché bene o male sempre valido e sempre utile a prescindere dal contesto. Tuttavia, è sul terzo che voglio concentrarmi, perché è ciò che solitamente mi aiuta di più in casi come quello di oggi. Non esiste niente come "scrivere" per curare l'incapacità momentanea di scrivere (per quella permanente, ovviamente, leggere è la medicina).
"Ma questo è un paradosso!", diranno molti. Colpa mia, ancora non mi sono spiegato bene: non intendo obbligarsi a digitare le prime parole di ciò che ci siamo prefissati, ma cambiare completamente argomento. Spaziare per un momento, magari sfruttare il foglio bianco per imprimere le nostre riflessioni, dare sfogo a un pensiero che altrimenti ci distrarrebbe. Che sia un diario, un post su un forum o un blog, un pezzo di racconto, un breve stralcio per un altro libro o anche solo un dialogo che ci ronza in testa senza trovare collocamento in qualche nostro lavoro passato, in fieri o in programma, scrivere aiuta.
In fondo non è così strano, posto che di esercizio si tratta (pur creativo, mentale). Non è molto dissimile da ciò che si può fare nello sport o prima di una gara. Serve per riscaldarsi, per prendere il ritmo. Non troppo, bisogna evitare di affaticarsi, di esaurire le batterie o la benzina nel motore (sempre che non ne valga davvero la pena e il nostro altro lavoro possa aspettare), ma scrivere nondimeno.
Vale per me, naturalmente, ognuno avrà il suo personale stratagemma, eppure il fatto stesso che questo problema esista mi ha fatto pensare. Alcuni miei conoscenti e amici, aspiranti scrittori anche loro, in più di un'occasione hanno lamentato la mancanza di ispirazione e - consci della mia vocazione (come se questo mio sogno mi conferisca una qualche competenza in materia) - mi han chiesto suggerimenti per riuscire a mettere nero su bianco le loro idee. Avevano storie in mente, ambientazioni tratteggiate con fantasia, pensieri più o meno profondi. C'era una traccia di ispirazione molto netta, nelle loro parole, quella forma di entusiasmo genuino che stimola le idee: era lo slancio per concretizzarle a mancare. A loro - e a tutti i miei lettori - consiglio di scrivere: non temete, il vostro è un problema comune, ma lo si può affrontare. Non pensate troppo, lasciate correre le dita sulla tastiera, la penna sul foglio e aspettate di aver ritrovato il ritmo. Quell'ispirazione particolare che di certo vi permetterà di produrre il testo che volevate.
E ora scusate, ma posso finalmente tornare a quel primo capitolo.

J.S.Blaze