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Sunless Sea

"Il capitano salì sulla barca. Gli uomini dell'equipaggio erano colmi di aspettative e paura, due sensazioni che gli erano molto familiari. Anzi, poteva quasi affermare che si trattava di una combinazione imprescindibile e necessaria per chi volesse esplorare quel mare oscuro. L'aspettativa ti teneva vivo, la paura vigile. L'incredibile distesa d'acqua e terrore che che si estendeva là, nel mondo Sotto, non risparmiava nessuno.
Fissò i suoi uomini, prima di parlare: alcuni di loro non sarebbero mai tornati a far porto a Londra Caduta. Non era né un presentimento, né una certezza, ma sapeva abbastanza di quello che li attendeva là fuori per ritenerlo probabile.
Annunciò la rotta che avrebbero seguito e disse il nome del luogo maledetto che avrebbero dovuto raggiungere per conto dell'Ammiragliato. Si sentiva in cuor suo un poeta dei vecchi tempi, per cui cercò di rintuzzare i loro animi con le storie di ricchezza e scoperta, ma a poco servì. Era la necessità a spingerli lontani dalla terra ferma, lo sapeva bene: chi per soldi, chi per i propri fantasmi del passato, ognuno aveva le sue motivazioni. Segreti, un'altra valuta di quel mondo sotterraneo.
Sospirò, vedendoli tornare a lavoro: quantomeno, avrebbero continuato a fare il loro dovere, finché avessero sentito il motore vibrare e avessero avuto cibo per mangiare. Provviste e carburante erano adeguati alla missione e sufficienti a sopperire a qualche imprevisto, ma lo stesso non poteva dirsi per le eco - la loro maledetta moneta. Con un po' di fortuna avrebbe concluso qualche affare fortunato e si sarebbe intascato il bottino necessario a lasciare la sua stanza sul molo. Forse.
Lì, nel mondo Sotto, ogni avventura era un sogno pronto a divenire incubo."

Ho deciso di inaugurare questa nuova sezione del Blog con la recensione del videogame che più mi sono divertito a giocare (il poco che sono riuscito) negli ultimi tempi: Sunless Sea.
Il titolo in questione, disponibile per PC già da un po' di tempo su Steam, propone un genere a se stante, atipico, perché unisce molte meccaniche diverse in una combinazione che a tratti vacilla, ma sicuramente stupisce e cattura.
Volendo offrire una definizione, lo si potrebbe classificare come un gioco di esplorazione e sopravvivenza: si impersona il capitano di una nave e si muove quest'ultima in un vasto mare, cercando nuovi porti, effettuando scambi commerciali e acquistando e vendendo beni, con un occhio sempre attento alle proprie provviste e al carburante necessari ad alimentare rispettivamente il proprio equipaggio e il proprio motore.
Tuttavia, sarebbe una descrizione molto limitante. Già, perché - poste queste semplici premesse - vanno poi illustrate alcune altre meccaniche peculiari che non si limitano a fare da contorno, ma, anzi!, connotano ulteriormente il gioco con il loro tocco. Sto parlando del sistema di collezionamento di oggetti e del loro uso per il dipanamento della trama e delle altre numerosissime storie, presentate per mezzo di interfacce a scelta multipla che ricordano molto da vicino i buoni, vecchi librigame.


 Esplorare il "Mare senza sole" non è cosa da poco, né per capitani qualunque.

L'esplorazione di questo mondo (quasi) onirico avviene facendo navigare il proprio battello: la visuale è posta dall'alto, in una prospettiva che ricorda i primissimi GTA, ma che risulta azzeccata per illustrare una mappa costellata di isole, vortici, abissi e luoghi che sfuggono a una semplice denominazione. Tutto, in aggiunta, presentato in una stupenda grafica 2D: disegni di una bellezza unica, capaci di evocare i medesimi paesaggi trasognati descritti nelle numerosissime righe di testo di chiara ispirazione Lovecraftiana.
Ogni porto aprirà una finestra con le zone accessibili.
In ogni porto, poi, si aprirà una finestra contenente le zone accessibili e, in queste, le opzioni a nostra disposizione. Il tutto, naturalmente, condito da descrizioni evocative, storie intriganti, vicende piene di mordente e ambienti decisamente ispirati.
Ogni volta che scopriremo qualcosa otterremo dei "frammenti" che, raggiunta una certa quantità, diverranno poi "segreti". Questi serviranno, assieme a una serie di altre risorse - tutte rappresentate da oggetti in nostro possesso e ottenute come ricompensa per l'avanzamento di certi racconti - a sbloccare nuove storie o ottenere particolari bonus o incrementi alle caratteristiche.
Le statistiche del personaggio (Iron, Mirrors, Veils, Hearts e Pages)  rispecchiano personali abilità al comando della nave e durante le interazioni sociali tramite le quali verrà deciso l'esito delle nostre azioni. Le probabilità di successo di una determinata scelta rispetto a un'altra verranno indicate in percentuale.
Altro importante parametro da tenere d'occhio è il Terrore, il cui valore determina la frequenza e la potenza degli incubi che l'oscurità genera nel nostro alter-ego. Un valore troppo alto può spingere alla follia, con le dovute conseguenze (non ultima la morte del proprio personaggio).

Trama

Quella di ogni singolo capitano cambierà in base alle vostre scelte iniziali, ma l'ambientazione poggia su una base semplice, per quanto assurda e - forse anche per questo - originale: Londra è precipitata nel sottosuolo, e non è la prima città ad averlo fatto. In effetti, è la quinta, per quanto non sia dato sapere che da indizi quali siano le precedenti quattro.
Il Bazaar, una sorta di società a metà tra mercato e forza politica, controlla in gran parte la capitale inglese sotto la guida dei Maestri, esseri certamente non umani dagli insondabili interessi. Poco della vecchia società è rimasto.
Una guerra ormai conclusa tra Inferno e Londra ha portato alla definitiva perdita della passata gloria e all'adattamento dei nuovi abitanti al clima e ai terrori del mondo sotterraneo chiamato Neath (che ho tradotto come un generico e inquietante "Sotto").
Qui, in un mare privo di sole (da cui Sunless Sea, appunto) prendono vita le vostre avventure, tra pirati, soldati, burocrati ed esseri antropomorfi che risiedevano in questo mondo oscuro da prima che Londra cadesse.
Da notare che l'ambientazione riprende ed espande le storie e le idee presenti in Fallen London, gioco archetipo di questo e fortunatissimo browser game dei medesimi sviluppatori (i ragazzi di Fail Better Games).

Punti di Forza

Una colonna sonora straordinaria: brani degni di una grande produzione, ma semplici ed efficaci. A volte delicato, a volte inquietante, a volte vivace, il tono musicale si sposa alla perfezione con le aree che il gioco vi presenta di volta in volta, provocando forti emozioni in base al tema in sottofondo. Questo effetto si sviluppa al punto che si può riconoscere il rientro nella zona limitrofa a Londra Caduta semplicemente ascoltando la ricorrente melodia delle sue acque pacifiche: una sensazione di sollievo che si estende dall'udito a noi stessi, certi finalmente di poter trovare un po' di pace... o forse no?


Uno dei brani del gioco

Ambientazione e Atmosfera: in molti definiscono questo gioco un miscuglio tra gli inquietanti e trasognati racconti di Lovecraft e il genere denominato Steampunk (dove la tecnologia si inserisce prematuramente e in modo anacronistico all'interno di un mondo solitamente vittoriano e di memoria ottocentesca), una descrizione abbastanza azzeccata che condivido. Vi è però di più, di questo. C'è un lavoro sopraffino dietro questo titolo, uno sforzo descrittivo potente ed evocativo che pretende - a buon diritto - una classificazione a parte. Non è soltanto la buona prole di due differenti visioni fantastiche della narrativa, ma più che altro un universo distopico unico, forte, vivo (complici anche i continui aggiornamenti), in cui è impossibile non rimanere affascinati da elementi che, in altri contesti, ci lascerebbero perplessi. Ecco dunque che la magia nera, i patti con esseri spirituali, il commercio in anime e le maledizioni di antiche divinità dimenticate si uniscono e si mescolano a tecnologie superate (e non), strutture e mezzi tanto fatiscenti quanto impressionanti e armamenti capaci di mettere in campo un'impressionante potenza di fuoco.

Passare tra due colossali sfingi di pietra è solo una delle molte stranezze che questo mare vi proporrà!

Testi:
Ispirati, forti e ben strutturati, talune volte possono apparire sconnessi o un po' troppo astratti, ma l'ermetismo che li avvolge non fa che aumentare il bisogno di informazioni e diventa parte integrante della struttura narrativa del gioco. Dettagli accennati velocemente spesso lasciano adito a molteplici interpretazioni, permettendo al lettore di spaziare con la fantasia e di evocare le peggiori (o le migliori) immagini che la sua mente sia in grado di partorire. Nulla, poi, viene lasciato al caso o troppo a lungo in sospeso: questo gioco di rimandi, di evocazioni letterarie e di pause trasmettono alla perfezione il senso sognante dell'ambientazione, in un continuo succedersi di focus, di piccoli ingrandimenti che, dopo un certo numero di giorni di navigazione sulle spalle, restituiscono una sensazione di familiarità e nel contempo di incompletezza che ci mantiene costantemente curiosi e bramosi di altri assaggi. Un enorme puzzle che prende poco a poco forma senza mai costringersi entro bordi definiti.

Punti deboli

Combattimenti: uno dei talloni di Achille di questo titolo viene a galla piuttosto in fretta, benché si tratti di un aspetto marginale del gioco, ed è proprio il sistema di combattimento. Come accennato qualche riga sopra, l'esplorazione della mappa di gioco è affidata all'uso di una nave con prospettiva dall'alto. Di quando in quando è possibile incrociare sulla nostra rotta una nave nemica o un mostro marino che, se illuminato dalla nostra luce di prua, ci verrà addosso e tenterà di affondarci. Rispondere a queste minacce col fuoco dei nostri cannoni e con altri ammenicoli simili non è un'operazione complessa: purché si mantenga il nemico nel nostro campo visivo, basterà aspettare che l'indicatore di fuoco sia pronto e si potrà selezionarlo per lanciare la prima bordata. Volendo, è anche possibile anticipare l'azione e sparare prima che il segnale sia pronto, pur a scapito della mira.
Per ogni colpo sparato occorrerà aspettare un tempo di raffreddamento minimo e potremo ripetere l'azione. Il danno, infine verrà affidato alle statistiche dei nostri armamenti (ampliabili e rinnovabili durante l'arco del gioco), mentre la nostra salute in mare sarà indicato per mezzo di un valore chiamato "scafo" (hull), che naturalmente dipenderà a sua volta dalla nave in nostro possesso.
Si potrebbe dire che si tratta di un sistema troppo semplicistico, e in effetti lo è (d'altronde, lo ripeto, non si tratta di uno dei punti chiave del gioco), ma in fin dei conti è adeguato a quanto richiesto dal titolo e sufficientemente valido per la prospettiva adottata; purtroppo, non è reso al massimo: i movimenti della nave, tutt'altro che complicati, non permettono però una manovrabilità accellente e la necessità di un'attesa dopo ogni colpo rende difficile poter sfuggire agli attacchi dei propri nemici. Il risultato è che il livello di sfida non è più affidato al singolo combattimento e alle abilità del giocatore, quanto piuttosto all'avanzamento del gioco e al conseguente armamento/difesa del proprio battello. D'altro canto, i nemici "in mare" sono pochi, quindi è facile passare oltre.

Oh, guarda, due granchi giganti. Datemi un minuto che faccio manovra e carico il colpo, eh!

Lento e difficile: se il primo punto debole è immediatamente visibile dopo i primi minuti di gioco, il secondo è meno riconoscibile e, forse, anche meno classificabile come difetto. Occorre infatti giocare abbastanza per accorgersi di una caratteristica intrinseca del titolo: il ritmo ampio e controllato. Intendiamoci, molte storie sono racconti al fulmicotone e dense di adrenalina, ma i viaggi di isola in isola (per quanto si potenzi il motore dell'imbarcazione) sono per contro lenti e a volte snervanti. Il bellissimo paesaggio e la scoperta continua delle prime ore di gioco ovvia a questa problematica, ma dopo alcune partite ci si assuefà all'ambientazione e questo potente effetto visivo e narrativo inizierà a perdere mordente. Da quel punto in poi, saranno le inclinazioni del singolo giocatore a determinare quanto e come questa peculiarità esiga in termini di pazienza e sforzo. I più avezzi a ritmi di gioco lenti e misurati non soffriranno affatto del continuo fare porto in isole già visitate - vuoi per motivi economici quali scambi o rifornimenti, vuoi per giungere al successivo passaggio di una determinata storia. Per gli altri, beh, non esistono scorciatoie: occorrerà mettersi il cuore in pace o prendersi una pausa dal videogame, per dare nuova potenza all'ammaliamento che questo titolo genera.

In Sunless Sea la morte è dietro l'angolo
Ho messo in questo paragrafo anche il "problema" della difficoltà, che problema non è (ma si trattasse del sottoscritto soltanto, non ci sarebbe neppure alcun fastidio per la lentezza)... e, tuttavia, per alcuni è comunque un punto da analizzare prima dell'acquisto. Sunless Sea non perdona e non è affatto "amichevole"; al contrario: è un gioco cattivo e punitivo, che premia l'attenzione e la pianificazione sopra ogni altra cosa. Il coraggio di certe scelte, ad esempio, può produrre vantaggi quanto svantaggi e se un atto eroico o rischioso dovrebbe aumentare le nostre ricompense o aprirci parti di storie precluse fino a quel momento, non è improbabile che lo scotto in caso di sconfitta sia terribile ed esoso. Spesso, però, esistono altre vie più subdole (o semplicemente "lente") per raggiungere il medesimo risultato.

Lingua: Sì, no, beh (scusate l'abbassamento di tono), c'è poco da fare. Il gioco è ancora (e forse lo sarà per sempre) solo in inglese. Non c'è molto altro da dire: non si tratta di un registro particolarmente complesso - per quanto ricco - ma certi paragrafi sono comunque abbastanza visionari da far perdere il filo ai meno avezzi. Dizionario alla mano, rimane un'esperienza affrontabile per i molti abituati a un inglese scolastico, ma non voglio indorare troppo la pillola: è un gioco che si basa sulla lettura e la comprensione del testo. Pensateci bene (e siate onesti nel farvi un'autovalutazione), prima di effettuare l'acquisto.

Tirando le somme

Sunless Sea mi ha rapito - come del resto ha fatto la sua controparte "browser", Fallen London - ma non manca di alcuni difetti. Sorvolati questi, però, quello che si ha per le mani è qualcosa di davvero unico, nel panorama videoludico. Lo si potrebbe premiare per questo (cosa che, per inciso, è stata fatta), ma la verità è che non ci si può fermare all'atto di coraggio degli sviluppatori. Sarebbe una valutazione ingiusta, perché questo titolo merita molto di più di qualche parola di plauso e un pollice in alto sullo store di Steam. Sunless Sea va riconosciuto per quello che è: un gioco potente, dalle meccaniche efficaci e dall'ambientazione incredibile. Un mondo vivo e pulsante da assaporare e esplorare in tutti i sensi, mentre la sua atmosfera terrificante e onirica ci rapisce e cattura "un frammento alla volta".

Blaze


***

Pokémon GO: tra critiche e complimenti


È sulla bocca di tutti, è quasi main-stream parlarne su un blog o su un forum, quindi potreste domandarvi: perché cedere alla moda anche su questo spazio web?
È vero, fino a oggi ho sempre evitato di soffermarmi su argomenti di attualità che facessero leva su un trend di successo o su mode multimediali e social, ma questo non vuol dire che io abbia un simile limite per regola, anzi: la risposta più ovvia che potrei dare al quesito è che, in primis, non sono affatto un tipo “elitario”, uno di quelli pronti a snobbare ciò che il resto della popolazione trova esaltante – anche se spesso si tratta di un'eccitazione momentanea. No, non è un vanto, è la semplice realtà: non sono né pro, né contro ciò che interessa le masse, ma come ogni persona dotata d'intelletto (sì, questa presunzione può essere annoverata stavolta tra i miei demeriti) so di dover provare un prodotto prima di poterlo giudicare, o quantomeno di doverne approfondire la conoscenza per poter poi esprimere un parere. Purtroppo, questa non è una consuetudine praticata nel globo etereo del www. Quel che è peggio, sempre più spesso si sciorinano giudizi col tono di chi non sembra ricordarsi della parola magica “personali”.
Ecco perché non parlerò granché del gioco in sé: non è lo scopo di questo breve articolo.
Ciò che voglio trattare è complesso e banale allo stesso tempo, ma soprattutto spero non vi offenderà: parlo della mania di svalutare ciò che si ha di fronte, tacciandolo in modo negativo – e fin qui nulla da dire – senza però avanzare alcuna critica reale e costruttiva a sostegno della propria tesi. No, non prendetemi nemmeno per un “buonista”, non voglio dar meriti a chi non ne ha... solo che non mi pare questo il caso. Anzi, non mi pare che si sia fatto proprio un granché per evidenziare quali siano i pregi di questa applicazione.

Andiamo per ordine, prima di ingarbugliare il discorso con un approccio fatto troppo “di pancia”.
Poche settimane fa è stato rilasciato in gran parte del globo l'applicazione per dispositivi mobili “Pokémon GO”, basata sul noto brand Nintendo che vede i videogiocatori impegnati a catturare e allenare creature chiamate Pokémon, appunto. Già celebre per le molte trasposizioni (in primis videoludiche e televisive), la saga pare intenzionata a conquistare un'ampia fetta di pubblico tra coloro che possiedono smartphones e tablet proprio grazie al software in questione – sviluppato da Niantic. Questo ingegnoso programma si affida a molte utility come il localizzatore gps e la mappatura globale di Google Maps per permettere a coloro che ne fanno uso di individuare nell'ambiente circostante i “mostri tascabili” del marchio nipponico. Il prodotto, però, non si limita a segnalare un luogo da raggiungere per poter effettuare la cattura, anzi: grazie alla Realtà Aumentata, la tecnologia attuale permette di visualizzare sulla telecamera del proprio dispositivo il pokémon di turno e simulare così il lancio della celebre sfera rossa e bianca, che ne garantisce la conquista. Gli animali fantastici presi potranno poi essere potenziati e fatti scontrare con quelli di altre persone, appositamente lasciati in luoghi di sfida chiamati “palestre”.
Mi fermo qua con le spiegazioni, per non esagerare con le informazioni che di certo già conoscerete (e che potrei approfondire, salvo annoiarvi con discorsi che nemmeno mi interessano, al momento).
Le dinamiche, però, sono in sostanza queste e per ora si limitano a poche operazioni. Va precisato subito che una delle critiche più frequenti risiede proprio qui: la scarsa varietà insita in questo gameplay... ma va anche fatto notare che, limiti oggettivi a parte, si tratta pur sempre di un'edizione non completa, fatta uscire sul mercato prima del suo perfezionamento (al momento della scrittura di questo articolo siamo alla versione 0.29, mi pare).

Seguiamo la bussola del mio discorso, però, perché a difenderne i limiti – sempre che qualcuno voglia farlo – ci penseranno altri. Quello che mi preme evidenziare sono i vantaggi che accompagnano il prodotto, soprattutto la sua capacità di sfruttare appieno il potenziale portable dei cellulari di ultima generazione. Non si tratta di un pregio da poco, né infatti parliamo della prima applicazione che ne abbia messo a frutto le dinamiche da hardware “portabile” (qualcuno ha detto Ingress?). Pensiamoci bene: se si trattasse semplicemente di un videogame, il cellulare o il tablet (persino gli ultimi usciti) non potrebbero mai reggere il confronto con le home console o i PC costruiti appositamente per il gaming, no?
«Ah, ma io ci gioco dove mi pare!» potrebbe dire un bastian contrario qualunque. E avrebbe ragione, perché, nonostante esistano console portatili di ben altro livello (Nintendo stessa – tanto per citare un caposaldo del mercato – basa buona fetta del suo mercato di oggigiorno sulle diverse versioni del DS), la maggior parte delle persone che possono permettersi di investire qualche centinaio di euro nelle nuove tecnologie non possiede simili apparecchi, mentre uno smartphone sì. Sono sicuro che il “casual gamer” abbia fatto la fortuna delle applicazioni ludiche su playstore e applestore, ma un'altra ragione sposa questa indissolubile verità e permette a Pokémon GO di avere un simile, incredibile successo planetario. Il segreto (si fa per dire) risiede proprio nella sua capacità di mettere in pratica la massima potenzialità dei dispositivi mobili: la mobilità stessa, appunto. Andare in giro per le strade della propria città acquista infatti un flavour particolare, che per alcuni – come il sottoscritto – ha il sapore nostalgico dell'infanzia e del divertimento, per altri quello della novità; per tutti, credo, vince l'idea di utilizzare il cellulare sì, per scopi ludici, ma in un modo che non sarebbe possibile riprodurre altrimenti (salvo forzature o creazione di apparecchi appositi... ma la forza di Pokémon GO risiede anche nell'aver sfruttato qualcosa di preesistente e diffuso come lo smartphone).
Oltre a questo, potrei decantare anche gli altri vantaggi, tra cui spicca certamente il fatto che per “giocare” una persona debba necessariamente camminare, uscire, visitare luoghi di interesse, monumenti pubblici, possibilmente stringere amicizie per scambiarsi informazioni sui luoghi migliori dove effettuare catture e simili. In quest'ultimo caso, la socializzazione multimediale sfocia nel reale a un livello che va ben oltre i limiti imposti da Facebook e gli altri media di pari genere.
Certo, il software è ancora pieno di imprecisioni e le segnalazioni dei luoghi da visitare sono a volte fuorvianti, certe volte persino ridicole, ma qui entra in gioco il singolo, la persona che deve saper distinguere il confine tra gioco e realtà – come quando ci spiegavano da piccoli che i film in tv non erano cose davvero accadute.

Su questo fronte – e torno quindi alla mia critica iniziale – una gran fetta del pubblico del web sembra però non aver ben chiaro il concetto e addita Pokémon GO come il male sceso in terra: isteria di massa per una creatura comparsa a Central Park, macchine ferme in mezzo alle strade, stazioni di polizia invase da cittadini in cerca di mostriciattoli... alcune cose vere, altre false (ah, la mancanza di fonti! Quando mai è stato un problema su internet?), ma tutte rigorosamente commentate, additate, portate a sostegno delle proprie tesi anti-Pokémon, spesso con risultati persino comici (come suggerire ai poveri allenatori di “andare a fare un giro, piuttosto che perdere tempo dietro a quelle cagate per cellulare”, quando di andare in giro, appunto, già si tratta). (Non ricordo la fonte, ma tanto non serve, no? :P  n.d.B.)

Nella maggior parte dei casi, credo io, c'è una prospettiva piuttosto ristretta, una visione che non ha voglia di ampliarsi (perché non penso si tratti di mancanza di intelletto), che non ritiene doveroso prendere in esame tutti i presupposti e i pro/contro di questa applicazione. Non sento esaltarne i pregi, come dicevo, ma solo parlarne male, tanto che mi viene da pensare si tratti di una moda.
Ovviamente la compagnia che lo ha prodotto dovrà prestare attenzione alle segnalazioni, porre le giuste correzioni dove possibile, ma solo il singolo è responsabile delle proprie azioni e a lui, al massimo, vanno fatte risalire le critiche e i dubbi che in questo periodo ho visto sollevarsi.
In fondo, che male c'è se una persona consuma rapidissimamente la batteria del suo dispositivo mobile (ecco, un difetto piuttosto evidente, siete contenti?) per andare a caccia di pokémon? Che colpa ha il gioco se un cretino lascia la macchina ferma in autostrada (invento, spero non sia successo davvero) perché il cellulare gli aveva segnato un mostriciattolo nelle vicinanze? Dareste la colpa all'Ikea se una delle mensole fornite nell'imballaggio vi cadesse sul piede per la vostra disattenzione? O alla Algida perché, mangiando troppi cornetti, vi è venuto il mal di pancia?
Quanto al pericolo per i bambini: credete veramente che risieda in Pokémon Go e non nel fatto che l'uso dello smartphone stesso richiede ormai un certo tipo di educazione al buon consumo? Non sarà ben più a monte, il problema?
Io credo ci sia da riflettere, al di là delle mie provocazioni e della retorica, perché il discorso che sto affrontando in questo ambito è qualcosa che in realtà potrebbe facilmente spostare il suo focus senza smettere di avere senso: non è stata la prima e non sarà l'ultima novità tecnologica a dare voce ai “malparlieri per sport”.

Concludo con un inciso che, spero, cambierà completamente la vostra prospettiva dell'articolo: io non gioco, né ho intenzione di giocare, a Pokémon GO.
Lo dico solo a fine testo perché mi faceva piacere che pensaste a me come a un appassionato e sono convinto che, magari, a scoprirlo solo ora rivedrete parte delle vostre critiche più banali.
Non mi interessa il gioco in sé, infatti, quanto le persone che parlano senza cognizione di causa, tanto per dar fiato alla bocca. A costoro (e solo a costoro: chi muove critiche ragionate ha tutto il mio rispetto) suggerisco di ricordare il noto aforisma: “A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprire bocca e togliere ogni dubbio.




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