mercoledì 27 gennaio 2016

Vorrei poter dire

Vorrei poter dire che cos'è il dolore,
non già per una vita cara che si spegne
- seppur all'improvviso, seppur ingiustamente -
ma per la morte dell'anima e del giudizio,
l'oblio della coscienza di una moltitudine,
un raptus di follia disteso attraverso gli anni
in attesa di giustificazioni impossibili.

Vorrei poter spiegare la malattia,
non quella che consuma il corpo
ma la psicosi che lascia indifferenti
al male annidato nel nostro animo;
quella paura atavica del non conosciuto
che segna lo straniero come alieno
e non riconosce un fratello senza mostrina.

Vorrei poter raccontare la paura,
non quella momentanea, ma esistenziale
che porta gli uomini a imbracciare le armi,
che spinge all'ignoranza e alla follia,
che non permette la conoscenza reciproca
e rende il mondo un labirinto di dubbi,
lasciando cicatrici per sempre incurabili.

Vorrei poter sentire il vero cordoglio,
ma apprendo il male da libri e poesie,
e non rispondo alla domanda per reticenza,
perché ben so che non è uomo
- e lo è più di molti allo stesso tempo -
chi è costretto a rinunciare alla sua dignità
e a vivere nella speranza di poter raccontare.

Vorrei poter dire che la memoria
è la nostra rete di sicurezza nella storia,
che ci ferma prima di cadere troppo in basso;
vorrei poterlo dire, ma l'odio non conosce tempo
e lo ferma solo il pianto quando ormai è troppo tardi.

Vorrei poter fare qualcosa di concreto
con le mie parole troppo deboli,
conscio di non poter alleviare il ricordo
dell'atrocità protratta con metodo.

Se tu leggerai queste righe ricorda,
non posso fare niente per dire ciò che è stato,
ma riflettici ugualmente, per te, per chi ti è caro,
per l'umanità in bilico e senza quiete.