Torno finalmente a
pubblicare i capitoli del BloGame "La Maledizione di Evansel"
(si alzano grida accorate di esultanza accompagnate da rulli di
tamburi e squilli di trombe).
Ho approfittato del tempo
che è passato dall'ultima volta per rileggere quanto già raccontato
e sistemarne alcune parti (poche, per la verità). La modifica più
rilevante riguarda il nome dei Telecineti nelle favole di questa
ambientazione: non più Fantaasi, ma Fantasidi. Come dite, è una
robetta di poco conto? Sono d'accordo, ma tant'è, vi volevo
informare.
Prima di procedere con il
riassunto dei capitoli precedenti, una spiegazione riguardo l'opzione
prescelta per il proseguo: data la parità di voti per le scelte E e
F, ho lasciato che a decidere fosse un tiro di dado. Alla fine ha
vinto E.
Sperando in una
partecipazione più numerosa per questo nuovo capitolo, ecco la
sinossi di ciò che è successo fino ad adesso (per leggerla, occorre
evidenziarla col mouse: come al solito, cerco di evitare spoiler a
chi è rimasto indietro con la storia).
[Beas – la protagonista
del nostro BloGame – si è risvegliata nella casa del guaritore
Leos Dobber dopo una lunga fuga dagli inseguitori al servizio di
Evansel, l'entità che lei e i suoi compagni hanno cercato di
eliminare. I ricordi affiorano rapidi e il periodo di convalescenza
passa tra i rimorsi e un devastante senso di solitudine: lei,
infatti, è probabilmente l'unica ad essere sopravvissuta ai
terribili effetti della Maledizione che il dio-mostro ha lanciato
loro contro. Dopo averla privata di ogni qualità e averla costretta
a indicibili sofferenze, però, il dolore e l'inettitudine sembrano
aver lasciato il posto ad alcune abilità: sensi amplificati,
capacità di vedere anche al buio, una forza maggiore e una rapidità
di guarigione più alta del normale. Tuttavia, più ricorre alle sue
nuove capacità, più una rabbia imperiosa le cresce dentro, come ha
dovuto sperimentare il povero Zalk, arrivato di notte a casa del
medico e scambiato per un malintenzionato da Beas. Pur mostrando di
possedere anch'egli poteri fuori dalla media che lo classificano come
un “Fantasido” delle favole – o, più correttamente,
"Telecineta" – il sospetto intruso si è comunque
ritrovato con un braccio rotto in men che non si dica. E sarebbe
finito pure peggio, se qualcosa non avesse colpito Beas alla nuca,
impedendole di continuare il pestaggio! L'oblio dei sensi ha così
ceduto il passo al mondo dei sogni e dei ricordi, dove la bella rossa
ha potuto rivivere il magico pomeriggio che aveva portato alla
confessione d'amore per Dalkas Nuvehim, capogruppo della banda e
principale promotore del piano per uccidere Evansel.
Avete scelto (con un
pizzico di aiuto da parte dei dadi) di far fare a Beas la prima
mossa. La nostra eroina si lancerà, quindi, spezzando gli indugi che
stavano facendo tardare tanto l'atteso bacio!]
Buona lettura a tutti!
La Maledizione (parte 4)
Niente.
Era rimasta qualche
secondo in attesa, sperando di vederlo protendersi a sua volta per
riscattare quel maledettissimo pegno d'amore, ma Dalkas era rimasto
immobile. Nei suoi occhi lesse una certa paura, ma anche l'ombra di
un rimprovero.
“Perché?” si chiese
Beas, avvilita.
Avrebbe potuto
assecondare quell'imprevista reticenza e ritrarsi, lasciar toccare
nuovamente i talloni a terra e tornare a fissare il grande specchio
d'acqua, ma non lo fece. Sapeva in cuor suo che, se avesse rinunciato
a quella possibilità, non ve ne sarebbero state altre. Per lei non
esistevano i “capiterà poi”, ma solamente gli attimi da cogliere
e ce n'era uno lì, in quel momento, per lei e per lui, per il futuro
che si augurava.
Si sbilanciò solo
leggermente, alzando ancora di più la punta dei piedi, socchiudendo
leggermente gli occhi: le sue labbra semiaperte trovarono quelle di
Dalkas serrate.
“Oddio, gli faccio
schifo, è finita!”
Un solo secondo di più e
la vergogna del rifiuto avrebbe vinto la sorpresa: la consapevolezza
di aver distrutto quel loro splendido rapporto l'avrebbe costretta ad
allontarsi in fretta, forse persino a correre, senza neppure
concederle il coraggio di guardare l'amico negli occhi. Per fortuna,
qualcosa vinse la reticenza di Nuvehim: forse fu la passione, forse
la tenerezza. Non volle pensare alla pietà.
Tutto smise di avere
importanza, quando le sue labbra si amalgamarono alle sue,
scivolarono e combaciarono più volte, mentre confermavano
definitivamente la reciprica attrazione. Già, perché se era vero
che si sentiva perdutamente innamorata del suo fedele compagno, era
ormai certa che questi ricambiava almeno in parte quel sentimento.
Le sue mani si posarono
sulle braccia di lui, per dare sostegno al suo precario equilibrio e
non interrompere quel breve momento di intimità, ma lui non fece
altrettanto e non l'abbracciò di rimando, come invece Beas aveva
sperato.
Pochi attimi dopo, il
bacio si interruppe: non seppe dire se avessero raggiunto la naturale
conclusione di quel gesto o se invece fosse stato lui a mettervi il
punto, ma fu certamente questi il primo a tornare a fissare il lago.
«Ormai è tardi.» disse
in tono sommesso «Dobbiamo andare.»
«Già...» rispose lei,
esitante.
“Ma tardi per cosa? Per
tirarsi indietro?”
Non era certa di poter
classificare quei dubbi come paranoie, ma non gli riuscì di chiarire
immediatamente come stessero i fatti. C'era molto di cui avrebbero
dovuto parlare – o che avrebbero potuto fare – per chiarirsi, ma
c'era il rischio di dover già seppellire quel bel momento e non
aveva il coraggio di scoprire se fosse davvero così.
“Non te ne andrai per
primo, però!” pensò, sfidandolo di sottecchi con lo sguardo “Non
abbiamo finito, sappilo. Non così.”
Percepì un fastidio
crescente nel rendersi conto di come un perfetto momento di felicità
come quello fosse stato minato da poche parole e da una conclusione
affrettata. Possibile che Dalkas non si rendesse conto di cosa
significasse per lei? Possibile che per lui avesse tutto un altro
peso?
“Sei un idiota.”
sentenziò fra sé e sé, incerta su chi dovesse essere il soggetto
di quel rimprovero.
Nuvehim era freddo come
il ghiaccio, ma non spettava a lei forzare quell'apatia. Cosa avrebbe
ottenuto, se non rendere ancora più strano il loro rapporto.
Occorreva fare chiarezza
e in fretta. L'indomani, forse.
Il sole finì di sparire
oltre le colline, lasciando il cielo e i suoi colori alla sera.
Beas si svegliò
dolcemente. Non era abituata a quella tranquillità, da molti giorni
a quella parte si era sempre destata bruscamente, madida di sudore
per gli incubi o in preda ai brividi. Cercò di godersi quella pace,
di trattenerla un poco e assaporarla, ma non vi riuscì. Come un
promemoria invadente, un dolore acuto e pulsante iniziò a farsi
sentire dietro la nuca e con esso crebbe la consapevolezza di ciò
che era accaduto.
“Stavo combattendo e
poi...”
Improvvisamente ricordò
tutto: lo scontro, Zalk, Leos, il colpo alla testa. Si guardò
attorno, disorientata e spaurita, ma riconobbe la sua stanza. Era
ancora a casa del guaritore.
«Leos!» chiamò a gran
voce, il tono fermo e saldo.
Aveva una nuova
fasciatura, in testa, ma non osava esplorare con le dita il retro del
capo per paura di amplificare quel dolore.
«Leos!» ripeté. Quindi
un dubbio la colse.
“E se non ci fosse più?
Se questo posto fosse caduto nelle mani dei-”
Il pensiero fu interrotto
dall'ingresso del vecchio guaritore.
«Leos...» mormorò per
la terza volta, finalmente più distesa.
«Sì, eccomi! Ti sei
ripresa, vedo. Stai bene?»
Portò istintivamente una
mano alla nuca, ma non la toccò.
«Io...» riprese,
interdetta «Mi fa un po' male la testa. Che cos'è successo?»
chiese infine.
«Hai preso una bella
botta.» rispose Dobber meccanico.
Beas annuì, aspettando
altre spiegazioni. Il medico sospirò, prima di proseguire.
«Sono stato io a
colpirti. Ho dovuto.» rispose in tono pacato «Stavi ammazzando il
povero Zalk.»
«Oh.» commentò lei,
interdetta.
Quella rivelazione
metteva tutto nuovamente in ordine e la poneva dalla parte del torto:
aveva malmenato il ragazzo – anzi, il Fantasido, perché
probabilmente aveva detto il vero anche su quello – convinta che si
trattasse di un assassino al soldo di Evansel, al più un
malintenzionato, invece era un amico del guaritore.
«Quindi lui era, cioè,
è...» si corresse subito «Non lo ho, ecco...?»
La sua titubanza venne
interpretata correttamente da Leos.
«No, tranquilla, non lo
hai ucciso. Chissà, magari l'avresti fatto, ma, come ti ho detto, ti
ho colpito alla testa prima che potessi riuscire nell'intento.»
«Ma io non volevo!»
replicò lei, sulla difensiva «Non so cosa mi sia preso, pensavo
solo che fosse-»
Il guaritore la
interruppe nuovamente, una calda risata a impedirle ogni sorta di
giustificazione.
«Lo so, lo so! Non
preoccuparti, non penso affatto che tu abbia agito in piena coscienza
di ciò che stavi facendo.»
Il sorriso di Leos la
rincuorò, cacciando ogni preoccupazione. Si stupì, anzi, di
trovarsi tanto sollevata: era il suo salvatore, certo, ma non credeva
di tenere tanto alla sua opinione. Forse era il debito di
gratitudine, forse era il timore di vedersi nuovamente abbandonata e
sola, ma contava di non passare per un'ingrata o una violenta. Leos
era un uomo buono, uno di quelli che si incontravano raramente, per
cui una parte di lei anelava ad averne la stima: era come espiare una
parte dei propri peccati, come mostrare al mondo che si meritava la
sua compagnia e che quindi valeva ancora qualcosa.
«Cosa ti è successo?»
interruppe nuovamente lui il suo flusso di pensieri, come spesso
faceva.
«Non lo so» rispose
sinceramente Beas «Pare che la Maledizione si sia evoluta in
qualcos'altro.»
«Maledizione?» le fece
eco il medico.
«Maledizione?» ripeté
meccanica una nuova voce.
Beas e Leos si voltarono
a guardare verso l'ingresso della stanza: Zalk se ne stava in piedi
sulla soglia, di profilo, le spalle poggiate ad uno stipite e le
gambe incrociate. Beas notò subito il braccio rotto, bendato e
legato al collo con una fascia.
«Tu...» disse in tono
sommesso, con ancora un pizzico di diffidenza ma senza aggressività.
«Già, io. Il tizio che
hai pestato a sangue.» rispose questo.
Era offeso, certo, ma
c'era anche stizza nella sua voce.
“Ho ferito il suo
orgoglio...” realizzò lei, prima di abbassare lo sguardo.
«Mi dispiace.» proferì,
sinceramente contrita.
«Mi dispiace davvero. Io
non so cosa mi stia succedendo...» un singulto le ruppe la voce.
La vista si appannò,
mentre calde lacrime le rigavano le guance. Quando aveva iniziato a
piangere?
«Mi dispiace!» ripeté
subito, spaventata anche da quella reazione.
Non si era data il tempo
per comprendere, ma era chiaro che il suo corpo aveva raggiunto con
l'istinto ciò che la ragione iniziava solo ora ad afferrare.
“Mi sto trasformando in
un mostro. Ferirò Leos, la prossima volta?”
Ricordava bene, ora, la
sensazione che aveva provato nell'infierire su Zalk, pugno dopo
pugno. Si era sentita bene, si era sentita viva: solo in quel
momento, solo per un po', aveva potuto abbandonare le angosce che
l'avevano costretta a letto oltre il tempo necessario.
“Perché?” si chiese,
mentre il pianto continuava “Io non sono così! Io non sono così!”
«Io non sono così...»
ripeté con la voce smorzata.
Forse i suoi compagni
avrebbero potuto darle qualche risposta: Riek e Faalz erano sempre
stati i più bravi a recuperare informazioni, mentre Dalkas sembrava
sempre preparato su tutto. Le mancavano.
“Ma sono morti. Sono
tutti morti.” si ricordò “Siamo stati tutti maledetti, loro sono
stati presi e io... io ho quasi ucciso a pugni uno sconosciuto che mi
chiedeva di fermarmi!”
In effetti, a ben
pensarci, da quando erano fuggiti dalla dimora di Evansel nessuno di
loro si era più potuto dire “se stesso”.
«Ehi...» intervenne il
guaritore, posandogli la mano sulla spalla.
Persino Zalk si avvicinò,
il passo incerto quanto la sua espressione. Beas notò il naso
gonfio: ricordava di averglielo rotto, ma non che fosse aquilino. In
effetti, persino i suoi capelli mori parevano avere ora una sfumatura
quasi violacea, alla luce del sole.
“Allora avevo
ragione... i colori cambiano quando si attiva quella strana vista
notturna. Forse anche le forme.”
Non che sul momento la
cosa avesse importanza. Si calmò, si asciugò gli occhi e si riavviò
i capelli.
«Mi dispiace.» ripeté
per un'ultima volta, secca «Non era mia intenzione.»
Zalk provò ad aprire
bocca e dire qualcosa, ma Leos lo precedette.
«Certo che no! Ora,
però, devi parlarmi di questa cosa, una volta per tutte. Dici che
sei stata maledetta, ma da chi? E cosa intendi?»
Beas ascoltò quelle
domande come impietrita: cosa poteva dire? Evansel era considerato un
dio da molti, e per gli altri era comunque il sovrano di un regno.
Gli avrebbero creduto? Poteva fidarsi? Quanto avrebbe potuto dire,
poi, di ciò che lei stessa comprendeva così poco?
Che cosa fare?
A) Non dire niente e
cambia discorso. I tuoi affari ti appartengono.
B) Non dire la verità e
inventati una storia. Non è ancora il momento di parlarne.
C) Sii esplicita e dì
che non vuoi raccontare cosa è successo a nessuno, per il momento.
D) Chiedi a Zalk di
uscire: sei disposta a raccontare quello che è successo e le tue
congetture in merito alla Maledizione, ma non davanti a uno
sconosciuto di cui non sai se puoi fidarti.
E) Racconta tutto davanti
ai due: tanto ormai...
F) Racconta ai due una
storia molto vicino a quello che è successo, ma ometti di citare chi
ha lanciato la maledizione e che volevate assassinarlo.
Come sempre, potete
suggerire le vostre risposte personalizzate (magari altri le
sosterranno)!