lunedì 6 luglio 2015

BloGame VII e qualche indicazione.

Torno finalmente a pubblicare i capitoli del BloGame "La Maledizione di Evansel" (si alzano grida accorate di esultanza accompagnate da rulli di tamburi e squilli di trombe).
Ho approfittato del tempo che è passato dall'ultima volta per rileggere quanto già raccontato e sistemarne alcune parti (poche, per la verità). La modifica più rilevante riguarda il nome dei Telecineti nelle favole di questa ambientazione: non più Fantaasi, ma Fantasidi. Come dite, è una robetta di poco conto? Sono d'accordo, ma tant'è, vi volevo informare.
Prima di procedere con il riassunto dei capitoli precedenti, una spiegazione riguardo l'opzione prescelta per il proseguo: data la parità di voti per le scelte E e F, ho lasciato che a decidere fosse un tiro di dado. Alla fine ha vinto E.
Sperando in una partecipazione più numerosa per questo nuovo capitolo, ecco la sinossi di ciò che è successo fino ad adesso (per leggerla, occorre evidenziarla col mouse: come al solito, cerco di evitare spoiler a chi è rimasto indietro con la storia).

[Beas – la protagonista del nostro BloGame – si è risvegliata nella casa del guaritore Leos Dobber dopo una lunga fuga dagli inseguitori al servizio di Evansel, l'entità che lei e i suoi compagni hanno cercato di eliminare. I ricordi affiorano rapidi e il periodo di convalescenza passa tra i rimorsi e un devastante senso di solitudine: lei, infatti, è probabilmente l'unica ad essere sopravvissuta ai terribili effetti della Maledizione che il dio-mostro ha lanciato loro contro. Dopo averla privata di ogni qualità e averla costretta a indicibili sofferenze, però, il dolore e l'inettitudine sembrano aver lasciato il posto ad alcune abilità: sensi amplificati, capacità di vedere anche al buio, una forza maggiore e una rapidità di guarigione più alta del normale. Tuttavia, più ricorre alle sue nuove capacità, più una rabbia imperiosa le cresce dentro, come ha dovuto sperimentare il povero Zalk, arrivato di notte a casa del medico e scambiato per un malintenzionato da Beas. Pur mostrando di possedere anch'egli poteri fuori dalla media che lo classificano come un “Fantasido” delle favole – o, più correttamente, "Telecineta" – il sospetto intruso si è comunque ritrovato con un braccio rotto in men che non si dica. E sarebbe finito pure peggio, se qualcosa non avesse colpito Beas alla nuca, impedendole di continuare il pestaggio! L'oblio dei sensi ha così ceduto il passo al mondo dei sogni e dei ricordi, dove la bella rossa ha potuto rivivere il magico pomeriggio che aveva portato alla confessione d'amore per Dalkas Nuvehim, capogruppo della banda e principale promotore del piano per uccidere Evansel.

Avete scelto (con un pizzico di aiuto da parte dei dadi) di far fare a Beas la prima mossa. La nostra eroina si lancerà, quindi, spezzando gli indugi che stavano facendo tardare tanto l'atteso bacio!]

Buona lettura a tutti!


La Maledizione (parte 4)


Niente.
Era rimasta qualche secondo in attesa, sperando di vederlo protendersi a sua volta per riscattare quel maledettissimo pegno d'amore, ma Dalkas era rimasto immobile. Nei suoi occhi lesse una certa paura, ma anche l'ombra di un rimprovero.
“Perché?” si chiese Beas, avvilita.
Avrebbe potuto assecondare quell'imprevista reticenza e ritrarsi, lasciar toccare nuovamente i talloni a terra e tornare a fissare il grande specchio d'acqua, ma non lo fece. Sapeva in cuor suo che, se avesse rinunciato a quella possibilità, non ve ne sarebbero state altre. Per lei non esistevano i “capiterà poi”, ma solamente gli attimi da cogliere e ce n'era uno lì, in quel momento, per lei e per lui, per il futuro che si augurava.
Si sbilanciò solo leggermente, alzando ancora di più la punta dei piedi, socchiudendo leggermente gli occhi: le sue labbra semiaperte trovarono quelle di Dalkas serrate.
“Oddio, gli faccio schifo, è finita!”
Un solo secondo di più e la vergogna del rifiuto avrebbe vinto la sorpresa: la consapevolezza di aver distrutto quel loro splendido rapporto l'avrebbe costretta ad allontarsi in fretta, forse persino a correre, senza neppure concederle il coraggio di guardare l'amico negli occhi. Per fortuna, qualcosa vinse la reticenza di Nuvehim: forse fu la passione, forse la tenerezza. Non volle pensare alla pietà.
Tutto smise di avere importanza, quando le sue labbra si amalgamarono alle sue, scivolarono e combaciarono più volte, mentre confermavano definitivamente la reciprica attrazione. Già, perché se era vero che si sentiva perdutamente innamorata del suo fedele compagno, era ormai certa che questi ricambiava almeno in parte quel sentimento.
Le sue mani si posarono sulle braccia di lui, per dare sostegno al suo precario equilibrio e non interrompere quel breve momento di intimità, ma lui non fece altrettanto e non l'abbracciò di rimando, come invece Beas aveva sperato.
Pochi attimi dopo, il bacio si interruppe: non seppe dire se avessero raggiunto la naturale conclusione di quel gesto o se invece fosse stato lui a mettervi il punto, ma fu certamente questi il primo a tornare a fissare il lago.
«Ormai è tardi.» disse in tono sommesso «Dobbiamo andare.»
«Già...» rispose lei, esitante.
“Ma tardi per cosa? Per tirarsi indietro?”
Non era certa di poter classificare quei dubbi come paranoie, ma non gli riuscì di chiarire immediatamente come stessero i fatti. C'era molto di cui avrebbero dovuto parlare – o che avrebbero potuto fare – per chiarirsi, ma c'era il rischio di dover già seppellire quel bel momento e non aveva il coraggio di scoprire se fosse davvero così.
“Non te ne andrai per primo, però!” pensò, sfidandolo di sottecchi con lo sguardo “Non abbiamo finito, sappilo. Non così.”
Percepì un fastidio crescente nel rendersi conto di come un perfetto momento di felicità come quello fosse stato minato da poche parole e da una conclusione affrettata. Possibile che Dalkas non si rendesse conto di cosa significasse per lei? Possibile che per lui avesse tutto un altro peso?
“Sei un idiota.” sentenziò fra sé e sé, incerta su chi dovesse essere il soggetto di quel rimprovero.
Nuvehim era freddo come il ghiaccio, ma non spettava a lei forzare quell'apatia. Cosa avrebbe ottenuto, se non rendere ancora più strano il loro rapporto.
Occorreva fare chiarezza e in fretta. L'indomani, forse.
Il sole finì di sparire oltre le colline, lasciando il cielo e i suoi colori alla sera.

Beas si svegliò dolcemente. Non era abituata a quella tranquillità, da molti giorni a quella parte si era sempre destata bruscamente, madida di sudore per gli incubi o in preda ai brividi. Cercò di godersi quella pace, di trattenerla un poco e assaporarla, ma non vi riuscì. Come un promemoria invadente, un dolore acuto e pulsante iniziò a farsi sentire dietro la nuca e con esso crebbe la consapevolezza di ciò che era accaduto.
“Stavo combattendo e poi...”
Improvvisamente ricordò tutto: lo scontro, Zalk, Leos, il colpo alla testa. Si guardò attorno, disorientata e spaurita, ma riconobbe la sua stanza. Era ancora a casa del guaritore.
«Leos!» chiamò a gran voce, il tono fermo e saldo.
Aveva una nuova fasciatura, in testa, ma non osava esplorare con le dita il retro del capo per paura di amplificare quel dolore.
«Leos!» ripeté. Quindi un dubbio la colse.
“E se non ci fosse più? Se questo posto fosse caduto nelle mani dei-”
Il pensiero fu interrotto dall'ingresso del vecchio guaritore.
«Leos...» mormorò per la terza volta, finalmente più distesa.
«Sì, eccomi! Ti sei ripresa, vedo. Stai bene?»
Portò istintivamente una mano alla nuca, ma non la toccò.
«Io...» riprese, interdetta «Mi fa un po' male la testa. Che cos'è successo?» chiese infine.
«Hai preso una bella botta.» rispose Dobber meccanico.
Beas annuì, aspettando altre spiegazioni. Il medico sospirò, prima di proseguire.
«Sono stato io a colpirti. Ho dovuto.» rispose in tono pacato «Stavi ammazzando il povero Zalk.»
«Oh.» commentò lei, interdetta.
Quella rivelazione metteva tutto nuovamente in ordine e la poneva dalla parte del torto: aveva malmenato il ragazzo – anzi, il Fantasido, perché probabilmente aveva detto il vero anche su quello – convinta che si trattasse di un assassino al soldo di Evansel, al più un malintenzionato, invece era un amico del guaritore.
«Quindi lui era, cioè, è...» si corresse subito «Non lo ho, ecco...?»
La sua titubanza venne interpretata correttamente da Leos.
«No, tranquilla, non lo hai ucciso. Chissà, magari l'avresti fatto, ma, come ti ho detto, ti ho colpito alla testa prima che potessi riuscire nell'intento.»
«Ma io non volevo!» replicò lei, sulla difensiva «Non so cosa mi sia preso, pensavo solo che fosse-»
Il guaritore la interruppe nuovamente, una calda risata a impedirle ogni sorta di giustificazione.
«Lo so, lo so! Non preoccuparti, non penso affatto che tu abbia agito in piena coscienza di ciò che stavi facendo.»
Il sorriso di Leos la rincuorò, cacciando ogni preoccupazione. Si stupì, anzi, di trovarsi tanto sollevata: era il suo salvatore, certo, ma non credeva di tenere tanto alla sua opinione. Forse era il debito di gratitudine, forse era il timore di vedersi nuovamente abbandonata e sola, ma contava di non passare per un'ingrata o una violenta. Leos era un uomo buono, uno di quelli che si incontravano raramente, per cui una parte di lei anelava ad averne la stima: era come espiare una parte dei propri peccati, come mostrare al mondo che si meritava la sua compagnia e che quindi valeva ancora qualcosa.
«Cosa ti è successo?» interruppe nuovamente lui il suo flusso di pensieri, come spesso faceva.
«Non lo so» rispose sinceramente Beas «Pare che la Maledizione si sia evoluta in qualcos'altro.»
«Maledizione?» le fece eco il medico.
«Maledizione?» ripeté meccanica una nuova voce.
Beas e Leos si voltarono a guardare verso l'ingresso della stanza: Zalk se ne stava in piedi sulla soglia, di profilo, le spalle poggiate ad uno stipite e le gambe incrociate. Beas notò subito il braccio rotto, bendato e legato al collo con una fascia.
«Tu...» disse in tono sommesso, con ancora un pizzico di diffidenza ma senza aggressività.
«Già, io. Il tizio che hai pestato a sangue.» rispose questo.
Era offeso, certo, ma c'era anche stizza nella sua voce.
“Ho ferito il suo orgoglio...” realizzò lei, prima di abbassare lo sguardo.
«Mi dispiace.» proferì, sinceramente contrita.
«Mi dispiace davvero. Io non so cosa mi stia succedendo...» un singulto le ruppe la voce.
La vista si appannò, mentre calde lacrime le rigavano le guance. Quando aveva iniziato a piangere?
«Mi dispiace!» ripeté subito, spaventata anche da quella reazione.
Non si era data il tempo per comprendere, ma era chiaro che il suo corpo aveva raggiunto con l'istinto ciò che la ragione iniziava solo ora ad afferrare.
“Mi sto trasformando in un mostro. Ferirò Leos, la prossima volta?”
Ricordava bene, ora, la sensazione che aveva provato nell'infierire su Zalk, pugno dopo pugno. Si era sentita bene, si era sentita viva: solo in quel momento, solo per un po', aveva potuto abbandonare le angosce che l'avevano costretta a letto oltre il tempo necessario.
“Perché?” si chiese, mentre il pianto continuava “Io non sono così! Io non sono così!”
«Io non sono così...» ripeté con la voce smorzata.
Forse i suoi compagni avrebbero potuto darle qualche risposta: Riek e Faalz erano sempre stati i più bravi a recuperare informazioni, mentre Dalkas sembrava sempre preparato su tutto. Le mancavano.
“Ma sono morti. Sono tutti morti.” si ricordò “Siamo stati tutti maledetti, loro sono stati presi e io... io ho quasi ucciso a pugni uno sconosciuto che mi chiedeva di fermarmi!”
In effetti, a ben pensarci, da quando erano fuggiti dalla dimora di Evansel nessuno di loro si era più potuto dire “se stesso”.
«Ehi...» intervenne il guaritore, posandogli la mano sulla spalla.
Persino Zalk si avvicinò, il passo incerto quanto la sua espressione. Beas notò il naso gonfio: ricordava di averglielo rotto, ma non che fosse aquilino. In effetti, persino i suoi capelli mori parevano avere ora una sfumatura quasi violacea, alla luce del sole.
“Allora avevo ragione... i colori cambiano quando si attiva quella strana vista notturna. Forse anche le forme.”
Non che sul momento la cosa avesse importanza. Si calmò, si asciugò gli occhi e si riavviò i capelli.
«Mi dispiace.» ripeté per un'ultima volta, secca «Non era mia intenzione.»
Zalk provò ad aprire bocca e dire qualcosa, ma Leos lo precedette.
«Certo che no! Ora, però, devi parlarmi di questa cosa, una volta per tutte. Dici che sei stata maledetta, ma da chi? E cosa intendi?»
Beas ascoltò quelle domande come impietrita: cosa poteva dire? Evansel era considerato un dio da molti, e per gli altri era comunque il sovrano di un regno. Gli avrebbero creduto? Poteva fidarsi? Quanto avrebbe potuto dire, poi, di ciò che lei stessa comprendeva così poco?

Che cosa fare?
A) Non dire niente e cambia discorso. I tuoi affari ti appartengono.
B) Non dire la verità e inventati una storia. Non è ancora il momento di parlarne.
C) Sii esplicita e dì che non vuoi raccontare cosa è successo a nessuno, per il momento.
D) Chiedi a Zalk di uscire: sei disposta a raccontare quello che è successo e le tue congetture in merito alla Maledizione, ma non davanti a uno sconosciuto di cui non sai se puoi fidarti.
E) Racconta tutto davanti ai due: tanto ormai...
F) Racconta ai due una storia molto vicino a quello che è successo, ma ometti di citare chi ha lanciato la maledizione e che volevate assassinarlo.

Come sempre, potete suggerire le vostre risposte personalizzate (magari altri le sosterranno)!