venerdì 27 novembre 2015

I Boss nei Videogames (e una top 3)

Benché sia piuttosto preso da altri progetti (n.d.B.: leggete lo scorso post sul Blog), voglio mantenere il più possibile vivo questo spazio telematico.
Oggi curerò una delle pagine nate da poco e lo farò trattando di un tema videoludico che mi è piuttosto caro: i “Boss” nei videogame.

All'inizio avevo pensato di costruire questo testo come una sorta di lista dei preferiti, una classica top-ten... e in effetti, è così che concluderò il brano. Tuttavia, non volevo discorrere semplicemente dei nemici di pixel e poligoni che preferisco, quanto piuttosto accompagnarvi in una riflessione (personale, sì, ma spero condivisibile e fruttuosa per tutti).
Cos'è un videogame senza un Boss?
Con questa domanda tartassante in mente, mi sono arrovellato fino a capire che in realtà una risposta esiste eccome: basta prendere un qualunque FPS di impronta classica, brand sportivo o, più in generale, qualunque gioco basato interamente sul multiplayer.
Bene, benissimo, ma senza dover fare troppe precisazioni, è chiaro che è a tutt'altro genere di software a cui penso, quando rifletto su un elemento come i “Boss”. Giochi pensati ed imbastiti su una modalità single player, o comunque in cui la presenza di una storia – palese o nascosta che sia, come ci insegnano, a titolo di esempio, i vari Souls – va di pari passo con il superamento di sfide prestabilite, gradini necessari all'avanzamento in vista del gran finale. Il confronto con i nemici “più grossi” e “più cattivi”, appunto. I Boss.
Ripensando ai miei esordi videoludici, non posso che aggiungere accanto a questa etichetta il suo naturale completamento, citando il celebre sintagma: “Boss di fine livello”. Già, perché una volta – e la pratica, in effetti, non si è completamente persa – i videogiochi scandivano la durata dell'arco narrativo grazie a una struttura divisa per parti più o meno equivalenti, solitamente caratterizzate da ambientazioni e soluzioni di gameplay uniche e singolari. Queste sezioni erano create ad hoc allo scopo di produrre variazioni nell'esperienza del videogiocatore e stuzzicarne continuamente, così, la fantasia e l'interesse.
In questo contesto – e il pensiero vola facilmente a molti platform e adventure game – i Boss rappresentavano anche e soprattutto un punto di arrivo e un banco di prova per la propria abilità.
Come sempre succede ad ogni forma di intrattenimento che sfoci nell'arte, i videogames hanno poi progressivamente perfezionato sempre più questo loro aspetto, fino a conferirgli pesi e funzioni mano a mano più specifiche, più uniche e particolari. È così che le storie narrate hanno cominciato a farsi più complesse e articolate, gli antagonisti sempre meno stereotipati, sempre più affascinanti e i Boss, per diretta conseguenza, sempre più significativi; altri, per un apparente paradosso, addirittura sono divenuti opzionali, annullando di fatto la loro raison d'etre originale (ma non il loro spessore).
Certo, ancora oggi svolgono in parte quel compito primario, determinando con la loro presenza dei passaggi obbligatori e caratterizzandosi così come punti fermi della vicenda raccontata, ma la cornice che sottende gran parte di questi fenomenali avversari è spesso ricca e accattivante, tanto da far attendere la loro messa in scena con trepidazione.
I Giochi di Ruolo, puri o ibridi, rappresentano ovviamente l'esempio più eclatante a cui fare riferimento: qui, solitamente, i Boss variano moltissimo, arrivando ad alternare un giusto mix di avversari poco approfonditi (ma comunque accattivanti) a vere e proprie nemesi. Per queste ultime, il più delle volte, l'uscita dall'anonimato non è affidata a poche righe di codice o a un breve filmato, ma puntano invece su un ritratto lungo, profondo, ricco di particolari che si dipanano attraverso gran parte dell'arco narrativo (se non tutto). Il confronto, quindi, assurge a momento catartico e fondamentale dell'esperienza videoludica.

Data la premessa, è però necessario puntualizzare che non sono pochi i giochi d'avventura, punta e clicca o platform curati anche sotto l'aspetto della caratterizzazione dei Boss. Il dettaglio, qui, fa da padrone e l'aspetto visivo del nemico riflette in parte la sua psicologia, o quantomeno lascia intravedere una porzione della sua essenza. Il nemico, così, non è più soltanto l'enorme bestia da affrontare, ma può divenire di tutto – e di tutto, da lui, ci si può aspettare, compresa una disfatta o un commiato struggente.
Persino gli FPS, per quanto spesso contaminati da altri generi, si sono talvolta evoluti in tal senso e la caratterizzazione degli antagonisti è divenuto un vero e proprio elemento chiave, motivante al fine del completamento della storia e per una totale fruizione del prodotto (penso, ad esempio, agli ultimi Far Cry – che pure non sono il mio “genere”).

Ecco, è qui dunque che volevo arrivare: a questo punto della mia riflessione, presentare una lista di preferiti diventa qualcosa d'altro; un apprezzamento non già rivolto a dei singoli personaggi, ma a tutti i “nemici” dei videogames che, se mal tratteggiati o poco studiati, possono con la loro assenza far perdere un po' di luce ai titoli giocati. Gli stessi titoli nei quali, magari, sono chiamati a prendere le parti del lato più oscuro.
Cosa sarebbero, in fondo, i videogames senza Boss?

N.B.= l'elenco che segue – oltre ad esprimere unicamente una preferenza personale – può contenere spoiler sui titoli proposti. Ecco perché invito a procedere con cautela nella lettura ed eventualmente interromperla in concomitanza delle parti dedicate ai videogame ancora da giocare.

3

Sif il Grande Lupo Grigio – Dark Souls

A coloro che pensano che si tratti di una scelta ovvia, non posso che dar ragione. Sif è un Boss vecchio stile, ma assieme anche un nemico innovativo.
Per poterlo apprezzare appieno, ovviamente, è necessario approfondirne il retroterra – il che, come ben sa un qualunque giocatore della serie Souls, non è un passaggio immediato: tutt'altro; occorre grande sagacia e determinazione per scovare tutti i tasselli narrativi dell'immaginifica ambientazione ideata da Fromsoftware. Sif, credo, incarna proprio lo spirito della serie, proponendo diversi livelli di lettura, tutti ugualmente giusti e tutti utili a capirne fino in fondo la reale valenza.

A una prima e disinteressata occhiata, ciò che si può rilevare è solo la superficie della sua caratterizzazione, che pure vale già molto: un Boss obbligatorio, ma di contorno (come appaiono, in fondo, quasi tutti i Boss di Dark Souls a un primo impatto), che si presenta né più, né meno come un nemico vecchio stampo, grosso e cattivo. Di certo, ne traspare immediatamente la bellezza estetica: un lupo enorme, argentato, che tiene in bocca una spada titanica – quasi non bastassero le sue zanne.
Scendendo più nel profondo, se ne può intravedere (anche solo dopo la sua morte e col proseguire dell'avventura) l'essenza: non più nemico casuale, ma protettore di una tomba (fittizia, forse, ma comunque simbolica). Il luogo ove riposa il suo padrone e amico, Artorias.
La leggenda si dipana ulteriormente giocando il DLC e una nuova chicca si aggiunge al tutto, mostrando un'introduzione diversa rispetto a quella del capitolo principale (se lo si affronta da un certo momento in poi). Ecco, quindi, che al primo impatto, estetico e solo intuibile, se ne aggiunge un altro, più emotivo e legato a una vera conoscenza del nemico.
Sif è uno di quei Boss che, rigiocando Dark Souls, si ri-affronta con occhi completamente diversi e una partecipazione sempre maggiore.

2

Sephiroth – Final Fantasy VII


Eh, lo so. La maggior parte di voi mi accuseranno di essere nostalgico, mentre un'altra parte consistente (che chiamerò amichevolmente “haters”) diranno che sono un fan che non ragiona più.
Beh, scusate la franchezza, ma chi se ne frega!
Contro ogni ragionevole dubbio, Sephiroth incarna l'idea stessa di antagonista e, credo, il primato non dipende solo dalla sua età videoludica. È piuttosto un'autorevolezza che premia un character design ispirato e azzeccato, che ben si sposa con il profondo stile punk-fantascientifico del settimo capitolo. Ciliegina sulla torta, trasmette anche lo spirito dello stile esagerato – a tratti pacchiano, ma più spesso accattivante – degli anime e manga del Sol Levante. La sua katana affilata e lunghissima diviene così un'arma iconica quanto la cascata di capelli grigi e l'espressione serafica perennemente dipinta sul volto, mista di superbia, rabbia e tristezza in egual misura.
Super soldato di fatto, oltre che per concept, questo villain è il motore vivo e pulsante della narrazione e presenta una notevole profondità psicologica, mostrata per mezzo di flashback e svariate righe di dialogo.





Il tema che accompagna il duello finale è stupendo e sembra musicato sulla falsariga del personaggio, aggiungendo un tocco di poesia sonora al già ottimo quadro estetico e psicologico.
Il momento di climax, poi, che culmina nella contrapposizione del solo protagonista all'antagonista in una sorta di dimensione priva di profondità – un oblio dello spazio e del tempo – assume quasi la rilevanza di un riscatto mentale di Cloud, chiamato a liberarsi da quella prigione di fantasmi e ombre del passato in cui il terribile Sephiroth l'aveva un tempo calato.
C'è solo da sperare, ormai, che la trasposizione su PS4 sia in grado di replicare l'incredibile impatto visivo e narrativo che questo personaggio si porta dietro.

1

Psycho Mantis – Metal Gear Solid


Eccolo, il re del mio podio, l'assoluto vincitore di questa difficile classifica.
Benché il suo background sia meno approfondito di quello di altri Boss e, soprattutto, più centellinato durante l'arco narrativo, non potevo che affidargli il compito di rappresentare il massimo esponente della categoria. Perché?
Beh, semplicemente perché trovo che sia l'esempio perfetto di Boss di un videogame – o quantomeno, l'esempio più vicino alla mia idea di Boss.
La sua vicenda personale non è affatto delle più semplici, né se ne può ignorare l'intrinseca tragedia, ma si sposa perfettamente con la caratterizzazione estetica e psicologica del personaggio. Benché rilevante per comprenderne la natura, la sua storia è in buona parte slegata dalla trama, che lo vede entrare in scena più come oppositore – o aiutante dell'antagonista, che dir si voglia – che come vera e propria nemesi con cui fare i conti. Ad essere onesti, anche questa sua essenza da “elemento secondario”, quasi di contorno, finisce per aggiungere valore alla sua figura. Intendiamoci, non dico che non abbia il suo ruolo, ma siamo ben lontani dall'impatto narrativo di Liquid, di Ocelot (in virtù, anche, dell'exploit dopo i titoli) o di Sniper Wolf (qui, invece, per il legame instauratosi con Otacon).

Da un punto di vista estetico, la sua immagine è riuscitissima, poiché nella sua semplicità restituisce immediatamente le impressioni di mistico e inquietante che lo caratterizzano: è di una magrezza scheletrica, segno somatico che riflette la sua fragile condizione mentale, ma indossa abiti attillati e poco coprenti e una maschera antigas, una linea in netto contrasto con quanto ci si aspetterebbe parlando di un personaggio cerebrale. La maschera inquietante – e il suo respiro filtrato che strizza l'occhio a Darth Vader – assumono un significato diverso, dunque, nuovo e profondo: un mix che lascia intravedere l'ambito militare in cui è vissuto, il devastato retroterra biografico e la mentalità disturbata.
La psicologia non è da meno, anzi: si espone cruda e violenta, senza mezze misure, mettendo in luce tutte le difficoltà di una vita irta di ostacoli e consumata dalla guerra – quella esterna che lo ha costretto a divenire una sorta di “esperimento vivente” e quella interna, in un gioco terribile di contrasti tra emozioni, istinti repressi e un mondo fittizio creato ad arte al solo scopo di contenerli. Ne risulta una mentalità deviata, ma anche vittima di un contesto sfavorevole e di un dono troppo grande per essere gestito.
Arrivando al gameplay, infine, abbiamo un trionfo di idee innovative, stratagemmi ludici e, come ciliegina, una vera e profonda conoscenza del videogiocatore e delle sue aspettative.
Cambiare porta del joypad per poter evitare la lettura del pensiero, leggere la memory card per scavare nei ricordi o far vibrare il controller per dimostrare la telecinesi sono le soluzioni di meta-gioco più credibili e azzeccate che si potessero escogitare per rendere la dimensione extra-sensoriale di questo incredibile Boss.
Psycho Mantis è – e rimarrà, temo – il più bel nemico della (mia) storia dei videogames.

martedì 24 novembre 2015

Una poesia in più: La strada davanti a casa

C'era una strada sgombra e un uomo su quella via,
c'era il sole e un po' d'ombra, c'era la polvere e casa mia.
Avevo il cuore più grande di una taglia già da un po',
e c'erano tante, tante, tante cose che ancora non so.

Fermo sull'uscio aspettavo, spostando lo sguardo qua e là,
cercavo l'amore, cercavo, negli occhi di mamma e papà.
A chi parcheggiava un momento, rubavo un poco di compagnia,
e con la mia mano sul mento rendevo reale la sua fantasia.

All'arte basta un momento, per dare sfogo hai doni che dà:
ti attizza un buon sentimento, scambia l'impegno per felicità.
Chi se ne andava da casa mia, lo faceva veloce ma col sorriso:
prestavo l'orecchio e la fantasia, poche parole e un tratto deciso.

Poi col tempo ho preso il cammino: andai lontano, me ne andai anch'io
da quel fuoco e quel mio camino, dove avevo casa e il mondo mio.
C'è oggi una strada che è piena, tutti che corrono e tutti che sanno;
gente che dice e non chiede venia, gente che ride mentre mi inganno...

Ma viviamo sognando, c'è poco da fare, sol che alcuni pensan di essere desti
trasformano il niente in cose d'amare, pur di nascondersi e non esser onesti.
E le parole si son complicate, manca il linguaggio del bambino,
che in poche righe mal pensate raccontava i sogni dell'indovino.

C'era una casa e c'è ancora, e un uomo davanti alla soglia,
che aspetta, come faceva allora, qualcuno che passi e un po' di gioia.